RASSEGNA STAMPA
Contratti. Quici (Cimo): “Coi pochi soldi messi a disposizione non resta che ampliare la libera professione dei medici”
Secondo il Presidente nazionale del sindacato, vista la scarsità di risorse per i rinnovi, “l’unica prospettiva per aumentare le entrate dei medici resta la possibilità di svolgere un nuovo tipo di libera professione, che vada oltre l’esclusività di rapporto, lasciando al medico la libertà di svolgere il proprio lavoro nel pieno rispetto della legge ma con meno vincoli burocratici, assicurando anche prestazioni sanitarie che vadano oltre i Lea”.
“Non vuole essere la solita lamentela sulla carenza delle risorse per la sanità o sui finanziamenti virtuali rispetto alla reale entità dei bisogni – afferma in una nota Guido Quici, Presidente Nazionale Cimo – ma sappiamo che il rinnovo del contratto di lavoro passa attraverso il Fsn, prima, ed i bilanci regionali subito dopo. Non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che la nuova finanziaria debba trovare le risorse per garantire l’accordo Confederale del 30 novembre 2016 sugli 85 euro mensili medi, lo stesso Presidente Gentiloni ha assicurato di voler mantenere gli impegni. Ma questo può bastare se consideriamo che, tra il gennaio 2012 ed il giugno 2017 la retribuzione dei dipendenti che lavorano nel privato, è passata in percentuale da 102,9 a 110,5 e quella dei dirigenti della PA è rimasta ferma a 100,0? Allora, l’aspetto economico diventa importante”.
“E’ noto – prosegue Quici – che le risorse per i rinnovi contrattuali della Sanità si trovino nel fondo sanitario e siano ricomprese nei bilanci delle regioni, per cui la “partita” si sposta sul tavolo di queste ultime. Di conseguenza, le Regioni si troveranno di fronte ad un contesto economico poco rassicurante, dovendo garantire innanzitutto i Lea e ovviamente, il rinnovo dei contratti di lavoro fermi da oltre 8 anni”.
“In questo momento la partita si gioca in casa del Mef che non sembra essere particolarmente propenso ad accogliere le richieste di recupero della Retribuzione individuale di anzianità (Ria), né a far includere, nel monte salari, l’indennità di esclusività di rapporto, il cui costo è di 1,33 mld. di euro (CA 2015) poiché, per ogni aumento di un punto percentuale di PIL, ci sarebbe un analogo incremento sul monte salari di circa 13 milioni di euro, ovvero circa 7,92 euro/mese pro capite”.
“A questo punto – spiega Quici nella nota -, Cimo ritiene dover ulteriormente chiarire la propria posizione sulla questione. Come già paventato da più parti, le eventuali risorse aggiuntive sarebbero destinate prevalentemente al salario accessorio ed utilizzate per obiettivi. Questo significherebbe dare maggiore arbitrio alle decisioni aziendali in sede di contrattazione decentrata e consentirebbe alle Aziende di incanalare, nei prossimi anni, queste voci contrattuali verso lo stesso trend di discesa di altri istituti (vedi risultato, variabile aziendale). Soprattutto, questo consentirebbe di “armonizzare” il Ccnl all’interno della nuova area contrattuale, una specie di “Robin Tax” a danno dei medici”.
“Cimo – prosegue il Presidente Cimo – ritiene che le risorse derivanti dalla Ria debbano essere utilizzate per finanziare l’art. 22 del Patto della salute (sviluppo professionale di carriera, stabilizzazione del personale precario, etc.) e che l’Indennità di esclusività del medico debba confluire nella Indennità di Specificità Medica, proprio per non disperdere risorse già assegnate ai medici. Già non ci date nulla ma almeno non ci chiedete di dare noi agli altri”.
“Con queste risorse – conclude Quici -, l’unica prospettiva per aumentare le entrate dei medici resta la possibilità di svolgere un nuovo tipo di libera professione, che vada oltre l’esclusività di rapporto, lasciando al medico la libertà di svolgere il proprio lavoro nel pieno rispetto della legge ma con meno vincoli burocratici, assicurando anche prestazioni sanitarie che vadano oltre i Lea”.