Che Inverno sarà per il SSN? La partita per la Sanità è molto importante. Per Cimo i Medici devono entrare in campo non essere semplici spettatori dagli spalti
Terminata la pausa estiva ci si appresta a giocare in sanità una partita importante, forse attesa da anni, dove le riforme legislative messe in cantiere dal Governo Renzi potrebbero nuovamente tonificare un settore che, oggi, in termini di universalità e sostenibilità non è in grado di offrire sufficienti garanzie al cittadino ed agli operatori del settore. CIMO è fortemente consapevole dell’opportunità storica ma è altrettanto consapevole del rischio di un possibile ennesimo fallimento che potrebbe vanificare, in modo definitivo, le aspettative di anni.
Partendo dalle riforme annunciate, certamente quella Costituzionale del Senato e del Titolo V assume, in sanità, rilevanza assoluta perché il Ddl elimina la legislazione concorrente, divide i poteri tra Stato e Regioni ed assegna al primo le competenze nelle norme generali per la tutela della salute e sicurezza del lavoro. Con l’introduzione della “clausola di supremazia” il Ministero della salute può finalmente recuperare quella centralità che le permetterebbe di avviare un vero processo di ristrutturazione del SSN in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale su tematiche, non di natura organizzativa ma di interesse più generale ad iniziare dagli aspetti giuridici che riguardano il personale dipendente inclusi i rapporti tra le professioni sanitarie, l’accesso al SSN e la progressione di carriera.
Se, quindi, lo Stato recupera la centralità del ruolo, il Patto per la Salute e gli standard ospedalieri diventano gli strumenti imprescindibili attraverso cui attuare le riforme. In particolare l’art. 22 del Patto stabilisce un apposito Tavolo politico che, entro il 31 ottobre 2014, dovrà definire un disegno di legge delega in cui sono contenuti principi e direttive sulla valorizzazione delle risorse umane per l’integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie, per l’accesso al SSN, per la disciplina della formazione di base e specialistica, per lo sviluppo di carriera e per l’introduzione di standard di personale di assistenza e per il precariato.
Ma se si parla di “Patto” lo stesso non può limitarsi ad un accordo unilaterale tra Ministero e Regioni ma deve coinvolgere chi rappresenta i cittadini e gli operatori sanitari. È, questa, una partita importante che riguarda tutti ed in questo contesto CIMO, pur consapevole che molto spesso le partite si giocano a “tavolino”, che Stato e Regioni hanno il “possesso di palla” e che pazienti e professionisti sono semplici “spettatori”, non intende assistere dagli “spalti” ad accordi le cui ricadute, positive o negative che siano, coinvolgeranno nei prossimi anni inevitabilmente i medici sia in termini professionali che organizzativi. Diventa, quindi, fondamentale il ruolo delle Organizzazioni Sindacali a tutela di chi quotidianamente è costretto a districarsi tra sostenibilità economica e responsabilità professionale.
Entrando, pertanto, nel merito delle questioni non è possibile rilanciare la sanità italiana senza valorizzare i professionisti, cosa che Il Ministro Lorenzin ha ben compreso. Occorre lavorare sia sullo sviluppo di una nuova carriera professionale che sulle competenze avanzate delle professioni sanitarie. Nel primo caso CIMO ha già presentato un progetto che rilancia il principio della meritocrazia attraverso una carriera gestionale basata su obiettivi non economici ma di governo clinico ed una carriera professionale finalizzata a premiare quei bravi clinici e/o chirurghi oggi delusi e demotivati, senza prospettive nel futuro e, molto spesso, ostacolati da scelte politiche e/o clientelari. Ma questo significa avere il coraggio di affidare incarichi di alta specialità e di eccellenza clinica basati sulle esclusive capacità professionali, affidare obiettivi di natura clinica e non gestionale e verificarne i risultati attraverso esiti di salute.
Per quanto riguarda, invece, l’integrazione multidisciplinare tra le professioni, la stessa non può prescindere da una preliminare concertazione tra le parti interessate proprio per superare quelle conflittualità volute da chi ritiene che il destino professionale debba essere deciso esclusivamente a “tavolino” da pochi. Nel merito lo sviluppo delle competenze avanzate deve viaggiare in contemporanea alla progressione di carriera della dirigenza ma, soprattutto, occorre che il Ministero della Salute assicuri la crescita professionale di tutte le figure professioni in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale attraverso il superamento del recente atto che demanda ad accordi tra Regioni ed Università il “destino giuridico” delle singole professioni.
Altro importante problema riguarda il precariato : vorremmo che gli sforzi del Governo Renzi, nel risolvere la questione precari della scuola, fossero estesi anche alla sanità ed, in particolare, ai circa 10.000 che da anni sono in attesa di una occupazione stabile. Non sono necessari né slogan, né proroghe ma occorre rivedere le regole di accesso al SSN per favorire il recupero e la stabilizzazione di un patrimonio umano e professionale abbandonato a se stesso ed utilizzato dalle Aziende ed Università solo per ridurre i costi del personale. Diventa, quindi, prioritaria la definizione di un percorso attraverso il quale il giovane medico sia messo nelle condizioni di completare la propria formazione nelle strutture sanitarie con un salario di ingresso sostenuto dal SSR e successiva possibilità stabilizzazione sul posto in organico vacante. Ma, proprio per evitare che i giovani colleghi vengano illusi costantemente con promesse non realizzabili occorre definire, a monte, il fabbisogno minimo del personale proprio attraverso gli standard; questo per due ordini di motivi : per garantire la sicurezza delle cure con adeguate risorse umane e prevedere l’obbligo della copertura dei posti in organico che di volta in volta si renderanno liberi.
Proprio dagli standard dell’assistenza ospedaliera emergono luci ed ombre che richiedono alcuni interventi correttivi. Per la prima volta si parla di volumi ed esiti che possono essere correlati, non solo, alle strutture sanitarie ma anche ai professionisti e questo potrebbe significare incarichi su obiettivi di natura professionale. Vanno bene gli standard di qualità su HTA, la prevenzione del rischio e la valutazione ed il miglioramento delle attività cliniche ma proprio per questi motivi l’applicazione corretta degli standard ospedalieri deve scongiurare quanto accade oggi in molte regioni dove il risparmio sulla spesa del personale determina processi organizzativi tali da costringere i medici a lavorare su più Presidi, distanti anche decine di chilometri tra loro, con insostenibili per problemi di sicurezza delle cure, aumento del contenzioso e di stress lavoro correlato.
Il Ministro ha promesso che i risparmi derivanti dalla razionalizzazione del SSN resteranno nella sanità ed, allora, parte degli stessi dovranno finanziare il personale sanitario che è chiamato direttamente a sostenere le riforme del SSN. Infine la questione contratto di lavoro. Nel luglio 2014 l’indice IPCA è sceso allo 0% rispetto all’1,2% del precedente anno, il che non lascia presagire nulla di buono in tema di aumenti salariali in tutta la Pubblica Amministrazione. Resta, quindi, la parte giuridica che, in queste condizioni, senza una adeguata riforma delle professione, rischia di appiattirsi esclusivamente sulle norme penalizzanti che si sono succedute dalla stipula dell’ultimo contratto ad oggi. Con la riforma Madia il Governo è stato delegato ad adottare, entro un anno, più decreti legislativi in materia di dirigenza pubblica e tra gli indirizzi emanati le Aziende Sanitarie sono incluse nelle Amministrazioni “territoriali” e la dirigenza medica e tecnica del SSN è esclusa dal ruolo unico. Per ovvi motivi le implicazioni di natura contrattuale saranno numerose ad iniziare dal Contratto Quadro della dirigenza che imporrà una urgente definizione delle nuove aree proprio alla luce della prevista riduzione delle stesse. Al tempo stesso l’esclusione dei dirigenti della sanità dal ruolo unico della dirigenza “territoriale” farebbe propendere verso un’unica area della sanità e il distinguo tra dirigenza medica e dirigenza tecnica del SSN, previsto sempre nella riforma della PA, è in linea con quanto sostenuto fino ad oggi, dalla CIMO in termini sia contrattuali che professionali. Sui prevedono tempi lunghi, tuttavia non è possibile immaginare ulteriori blocchi contrattuali per cui occorre aprire, al più presto, il tavolo negoziale per porre le basi di un nuovo contratto di lavoro che tenga conto delle riforme in atto e che sia più dignitoso per la categoria.
Dr. Guido Quici – Vice Presidente Vicario CIMO