Tavolo ex art. 22, Cassi (Cimo): «Ok al doppio canale per gli specializzandi, più chiarezza su status giuridico del medico e carriere» (Il Sole 24 Ore Sanità)
Il balletto di bozze sull’accesso al Ssn e la formazione medica riflettono i contrasti esistenti all’interno della componente pubblica (Salute, Miur e Regioni) che non riescono a trovare un’intesa su una questione vitale per il futuro della professione. Le contrapposizioni, che avevano impedito a luglio che le nuove norme fossero inserite nel Patto della salute, sono riemerse con forza trovando l’Università sempre più arroccata a difesa di una situazione di privilegio, nonostante che gli effetti negativi del sistema attuale siano evidenti.
Oggi un medico deve affrontare sei anni di corso di laurea e cinque di specializzazione, dalla quale esce senza avere acquisito la competenza professionale necessaria; infatti se riesce a vincere un concorso di ruolo nel Ssn, per cinque anni è assunto come medico ad autonomia condizionata; in pratica anche con un percorso senza stop, ormai rarissimo, solo a 35 anni (ma nella realtà dopo i 40) dopo aver fatto quella pratica ospedaliera che avrebbe dovuto fare durante la specializzazione, diventa un medico autonomo, quando in molti paesi a questa età il medico è già un professionista completo se non leader di equipe specialistica.
La nuova proposta delle Regioni, almeno da quanto si legge, prevederebbe l’inserimento di questi medici da subito nelle attività assistenziali e consentendo l’acquisizione della specializzazione attraverso convenzioni con l’università, utilizzando anche gli ospedali della rete formativa regionale.
Questa impostazione è più vicina a quanto da sempre i sindacati medici chiedono e in sintonia con quanto avviene nel resto d’Europa, ma non è chiara nelle definizione giuridica di questo medico e soprattutto nelle sue prospettive di avanzamento di carriera. Ci auguriamo non venga riproposta la divisione di stato giuridico prevista nella bozza del 5 novembre, già respinta unitariamente da tutti i sindacati
Il nostro timore è che si stia perdendo un’occasione unica per rimediare agli errori del passato e che le buone intenzioni del Ministro Lorenzin rischino di naufragare a fronte del netto rifiuto dell’Università.
L’art. 22 è l’occasione per una rivisitazione complessiva della figura del medico; occorre prioritariamente definire quanti medici occorrono al paese e, soprattutto, quanti medici generalisti e specialisti devono essere formati, sulla base dell’esigenze del Ssn e non di quelle dell’Università; occorre prevedere una formazione soprattutto pratica all’interno di strutture accreditate e una verifica continua nel corso di tutta la vita professionale, il tutto ovviamente all’interno di una riforma dello stato giuridico del medico che riconosca e premi le competenze cliniche e professionali, abbandonando l’inquadramento come “dirigenti” inadeguato a definire e valorizzare la professione e il lavoro dei medici dipendenti del Ssn. Se si perderà questa occasione il declino della professione continuerà inarrestabile, con conseguenze drammatiche sul Ssn.