Irap, molti precari in ospedale la pagano anche se non dovuta (Doctornews)
Quanti medici non assunti ma ingaggiati a partita iva dall’ospedale per lavorarci sono tuttora soggetti alla richiesta di pagare l’Irap? La domanda sorge dopo l’ennesimo braccio di ferro concluso in Cassazione tra il Fisco e un medico veneto che per la libera professione si appoggia su due ospedali. Correttamente mette i redditi nel quadro RE ma l’Agenzia delle entrate gli chiede l’Irap 2007. Per le sentenze di Cassazione vale il distinguo tra attività organizzata e non organizzata: se il professionista mette lo zampino nella organizzazione della struttura e dunque sopporta costi connessi alla formazione del suo reddito paga l’Irap, se i costi li sopportano altri no.
In primo grado il giudice dà ragione al medico, in appello la Commissione Tributaria Regionale conferma tutto, ma il Fisco ricorre. Da una parte ravvisa un vizio quasi di forma (la Ctr ha parlato di “medico convenzionato”, ma la Suprema Corte chiarirà: non c’è dubbio si tratti di libero professionista); dall’altra c’è una domanda più profonda. Il medico paga 33 mila euro di affitto delle strutture, cifra che si addice di più a un affitto di struttura alla cui manutenzione egli contribuisce. Inoltre non ha prodotto i contratti di collaborazione con le strutture da cui si desumerebbe se si sobbarca dei costi di conduzione della struttura (nel qual caso paga l’Irap) oppure no. Per la Cassazione il medico comunque non paga l’Irap. Il valore ingente di compensi percepiti e spese sostenute, in astratto magari compatibile con situazioni assoggettate all’imposta, non basta a dimostrare che il medico fa attività organizzata; la stessa incongruità delle spese può essere figlia ad esempio di errore di valutazione della struttura.
«Purtroppo al medico con un contratto di collaborazione per un ospedale o a progetto o retribuito con fattura – ce ne sono oltre 7 mila da aggiungere ai 2500-2700 contratti a tempo determinato – l’Irap è richiesta dal Fisco, senza valutare il singolo caso, e il comportamento ricorrente è pagare e chiedere rimborso anche se l’imposta non sarebbe dovuta: siccome il contenzioso costa, molti vi rinunciano», dice il vicepresidente Cimo Guido Quici. «Il problema tocca da vicino i giovani (non più contribuenti minimi cioè sopra 30 mila euro di reddito ndr) e all’onere fiscale va aggiunto quello assicurativo: mancando copertura aziendale, questi medici sono costretti a coprirsi integralmente con la polizza per specialità, premi alti».
Quici aggiunge che i concetti di produttività e attività organizzata sottendono un paradosso. «Il professionista dovrebbe pagare la tassa nella misura in cui gli strumenti o la segreteria a sua disposizione concorrono a un incremento reddituale; ma questo incremento da dove nasce? L’interpretazione ricorrente è che deve l’Irap chi organizza i fattori produttivi, li acquista, li paga, mentre dove il professionista non risponde dell’organizzazione dei mezzi non la deve; ma per molti professionisti che si appoggiano ad ospedali e trattano i pazienti di quelle aziende, il fatturato decolla di più proprio perché di pagare i fattori produttivi, e l’Irap, si occupa direttamente la struttura».
Mauro Miserendino