Manovra, ignorata crisi sanità.
CIMO-FESMED: «Utilizzare risorse cooperative per abbattere liste d’attesa»
Il sindacato dei medici: «Misure tampone e ulteriori tagli non risolvono problemi SSN. Servono 4 miliardi per rafforzare l’offerta sanitaria e rilanciare la sanità pubblica»
Roma, 21 agosto 2023 – È ancora una volta una manovra economica che ignora la grave emergenza del settore sanitario, quella che si prospetta per il prossimo anno. I 4 miliardi richiesti dal Ministro della Salute Orazio Schillaci per tentare di risollevare la più grande infrastruttura del Paese sono destinati a rimanere carta straccia perché si decide di puntare su altri settori ritenuti evidentemente più strategici e importanti della salute della popolazione: lo scorso anno 900 milioni al calcio, oggi 2 miliardi alla TIM. Anzi, pare che la richiesta arrivata dal MEF sia quella di “tagliare i rami secchi” e di “razionalizzare le spese”. Come se, dopo il decennio di tagli cui è stato sottoposto il Servizio sanitario nazionale, ci fosse ancora qualcosa da tagliare senza compromettere la qualità e la sicurezza dei servizi.
Di certo non si potrà tagliare ulteriormente il numero di posti letto ospedalieri ed il tasso di ricovero, considerato che entrambi risultano ampiamente al di sotto dello standard stabilito dalla norma: tra il 2010 ed il 2020 sono stati persi 39.000 posti letto ospedalieri, scesi a 3,18 per 100.000 abitanti a fronte dello standard pari a 3,7 per 100.000 abitanti; secondo i dati OCSE, invece, nello stesso decennio l’Italia è stato, dopo il Messico, il Paese con la più elevata riduzione del tasso di ospedalizzazione (- 32,61%), pari a 93,13 per 1000 abitanti a fronte dei 160 per 1000 abitanti previsti dallo standard del DM 70/15. E il taglio più drastico si è verificato proprio nelle Aziende Ospedaliere, quelle destinate alle alte specialità, in cui i ricoveri ordinari sono calati del 71,41%. Probabilmente la vera inappropriatezza sta in un’offerta sanitaria inadeguata rispetto ai reali bisogni di salute dei cittadini.
Tuttavia, alcune spese possono essere ottimizzate, utilizzando ad esempio in modo più oculato i milioni di euro con cui vengono ricoperte d’oro le cooperative chiamate a far coprire i turni negli ospedali ai medici a gettone. Risorse che vengono prese dalla voce di bilancio “beni e servizi” per non superare il tetto alla spesa per il personale che impedisce a Regioni e aziende di incentivare i dipendenti: per la Federazione CIMO-FESMED, invece, queste risorse si potrebbero utilizzare, almeno per i prossimi due anni, per finanziare un piano di recupero dei tempi di attesa ricorrendo al lavoro del personale sanitario in servizio attraverso strumenti incentivanti. Un trasferimento di fondi che, quasi a costo zero, garantirebbe un reale vantaggio per i cittadini.
«Senza un vero e proprio Piano Marshall il dramma delle liste d’attesa non si può superare – dichiara Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED -. Ma non nascondiamoci dietro a un dito: queste possono essere misure tampone che tuttavia non sono in grado di rilanciare la sanità pubblica. Se si vuole salvare il SSN occorrono investimenti veri per aumentare l’offerta sanitaria, rafforzando i servizi ambulatoriali presenti sul territorio e recuperando le prestazioni ospedaliere falcidiate negli anni, ed assumere personale».
«Ed è vero che le risorse non ci sono, ma è anche vero che non si fa nulla per trovare quei 4 miliardi richiesti dal Ministro Schillaci – aggiunge Quici -: non c’è all’orizzonte alcuna intenzione di lavorare ad una seria e concreta lotta all’evasione fiscale, che da sola consentirebbe di trovare molti più soldi di qualsiasi tassa sugli extraprofitti; e si continua a voler ignorare la possibilità di ricorrere al MES che, vista la situazione, darebbe una vera boccata d’ossigeno alla sanità pubblica. Se invece l’intenzione è quella di privatizzare il Servizio sanitario nazionale occorrerebbe avere quantomeno il coraggio di confermare pubblicamente una decisione già assunta da tempo e di spiegarne le conseguenze ai cittadini», conclude.