GIURO DI NON DIMENTICARE – Intervista al Presidente Quici


Il libro ‘Giuro di non dimenticare’ racconta le esperienze in prima linea dei medici impegnati nella battaglia contro il covid

 

ROMA – Dalla Campania alla Lombardia, dalla Valle D’Aosta alla Sicilia, dall’Abruzzo alle Marche, passando per l’Emilia Romagna e la Puglia fino all’Umbria e al Veneto: è rappresentata quasi tutta l’Italia nelle circa 150 pagine del libro ‘Giuro di non dimenticare. Storie di medici ai tempi del Covid’. Realizzato dal sindacato Cimo, il volume contiene le storie di 28 sanitari impegnati in prima linea nei reparti covid dei nostri ospedali in questo lungo, lunghissimo, periodo di pandemia da coronavirus.

 

Nel testo scorrono le testimonianze descritte in prima persona da medici, alcuni dei quali alla soglia della pensione e altri ancora specializzandi. Anestesisti, rianimatori, geriatri, internisti, chirurghi, pneumologi, specializzandi e radiologi. Senza dimenticare chi dirige un reparto dedicato ai disabili, i più fragili tra i fragili. Protagonisti sono anche gastroenterologi, medici ospedalieri in pensione, dottori impegnati in medicina d’urgenza e in quella trasfusionale, chiamati in servizio durante i turni di giorno e nelle notti di guardia. Nuove sentinelle della nostra salute, armati di dispositivi di protezione individuale che proteggono da qualsiasi cosa e isolano da qualunque contatto umano. Tute da fare invidia a quelle degli astronauti, ‘quasi aliene’ le definiscono alcuni. E poi tamponi e guanti ormai divenuti la normalità. Mascherine che schiacciano i volti e modificano i lineamenti del viso. Nel libro si parla spesso di intubazioni, di schermi facciali e di calzari. I caschi per l’ossigeno C-Pap, i termometri e i saturimetri. E ancora il gel disinfettante e il cloro, i nuovi profumi che tutti gli operatori si porteranno in casa una volta usciti dal proprio girone dantesco.

Non mancano i sentimenti, sembra quasi di percepirli mentre si sfogliano le pagine del volume: dalla soddisfazione per aver salvato vite alle lacrime per la tanta tensione accumulata e per i mancati abbracci, non solo con i pazienti e con i propri parenti ma anche con una persona sconosciuta con la quale si vorrebbe scambiare un breve momento di affetto. Vi sono poi ironia e coraggio ma anche dubbi, ansia, fragilità e paura, unita alla frustrazione di non riuscire a curare tutti. Eppure, nonostante quanto accaduto, c’è chi mette nero su bianco che tutto questo è un magnifico ricordo, professionale e umano, da raccontare un domani alle future generazioni.

Nel libro ci sono poi loro, i malati affetti da insufficienza respiratoria a cui non si può stringere la mano, che non possono ricevere alcun tenero gesto se non uno sguardo complice che traspare dalle mascherine e dalle parole di conforto, oltre ovviamente alle cure mediche. Ci sono i pazienti che ce la faranno e quelli che invece non rivedranno più le proprie famiglie. Trovano poi spazio i medici che hanno perso la vita in servizio e quelli che lavorano con il terrore di contagiare i propri familiari. Non mancano, ovviamente, gli anziani, da proteggere, accudire, curare e consolare. Gli anziani da salvare. Gli anziani che rappresentano la nostra storia.

 

Emerge davvero tanto in questo volume, vera e propria testimonianza per i medici che verranno. L’agenzia Dire ne ha parlato con il professor Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed.

“Con questo libro abbiamo voluto lanciare un segnale forte. Evitare che la pandemia, una volta passata, finisca nel dimenticatoio. E lasciare vivere tutte quelle emozioni e quelle esperienze professionali che possono servire anche per migliorare il nostro servizio sanitario nazionale, regalando poi un testimone ai giovani colleghi, sotto forma di una staffetta generazionale. In questi mesi mi sono sempre chiesto cosa succederà quando finirà la pandemia. Tutti tenderanno, come è giusto che sia, a dimenticare, perchè generalmente le cose brutte si mettono da parte. E’ però necessario che rimanga una testimonianza, qualcosa che metta in evidenza le notti insonni, gli sguardi smarriti dei pazienti, il desiderio di abbracciare i propri cari. Tanta gente e tanti sanitari hanno lasciato le proprie famiglie per non contagiarle ed hanno vissuto in ospedale per lunghi periodi. La cosa che mi ha colpito molto è quando si sono trovati insieme il medico ed il paziente, isolati, che hanno dovuto trovare qualsiasi sistema per superare grandi ostacoli ovviamente legati alle condizioni di salute. Poi, quando vedi morire uno, due, tre pazienti e quando vedi il collega che si contagia, lo stesso che poi muore, allora tutto rimane indelebile nella mente dei medici e dei sanitari. Si tratta di emozioni, riflessioni, di una solitudine che esprime proprio la forza e un impegno professionale che va oltre. ‘Giuro di non dimenticare’ significa proprio la volontà di lasciare un testimone. L’altro aspetto importante per noi medici è il giuramento d’Ippocrate, che emerge in maniera trasversale da tutti i racconti dei colleghi. Proprio per questo nel libro abbiamo inserito il giuramento d’Ippocrate, il primo del 460 a.C., e il nuovo giuramento fatto e modificato a Bari nel consiglio nazionale della Fnomceo nel 2014. Per noi si tratta di due aspetti fondamentali, due pietre miliari”.

 

– Il sottitolo del libro è ‘Storie di medici ai tempi del covid’. Quali sono quelle che l’hanno maggiormente colpita?

“C’è sicuramente quella del collega e amico Beatrice che ha presentato in occasione della commemorazoine dei sanitari della Fnomceo, a cui hanno partecipato i presidenti di Camera e Senato e il ministro della Salute Speranza è stato molto toccante in cui lui chiedeva scusa, una mattina, uscendo dall’ospedale dopo un turno stressante e dopo aver visto gli occhi dei vari pazienti, anche giovani, piuttosto gravi, chiedeva scusa di non aver fatto abbastanza. In realtà i racconti sono tanti. Ognuno ha scritto una cosa diversa dall’altra ma con il minimo comun denominatore che era un po’ angoscia ma soprattutto la resilienza. C’è il collega anestesista della Valle d’Aosta che quando è andato in vacanza in Sicilia dopo la prima fase della pandemia aveva paura di riabbracciare la mamma per non contagiarla anche se non la vedeva da molto tempo. Il collega della Campania che si era offerto volontario per aiutare gli altri e i colleghi, lui affetto da diabete mellito che si era ammalato una volta entrato in raparto. Oppure una collega umbra, madre di una bambina molto piccola, si era trasferita in ospedale e aveva lasciato la piccola insieme alla sorella. Un’altra dottoressa di Ravenna tornata in servizio dalla maternità, era entrata in un reparto covid e improvvisamente ha provato l’emozione di una specializzanda che faceva un turno di servizio per la prima volta. Se parliamo di resilienza c’è il collega di Catania, responsabile dell’odontoiatria riabilitativa, quindi per pazienti disabili, che viene chiamato sabato pomeriggio, gli si dice che tutto l’ospedale viene trasformato in covid e lui deve continuare a trovare degli spazi per continuare le attività per i bambini, soprattutto per quelli disabili. E allora, con un foglio A4, con la penna e con un ingegnere gira l’ospedale, trova un’area separata, disegna come andrebbe organizzata, nel giro di 24 ore attivano queste postazioni e riesce a realizzare 1.400 interventi in un anno. Oppure la collega umbra di Foligno che arriva in reparto alle ore 20 e se lo trova trasformato in covid improvvisamente senza saperne nulla. Ancora al Cardarelli di Napoli, mentre si sta lavorando presso alcuni pazienti covid, si sentono i rumori martellanti per innalzare pannelli di separazione tra area covid e no-covid. Si tratta indubbiamente di situazioni incredibili, davvero al limite. L’ultima cosa che mi ha colpito molto, la storia di un collega nuotatore, un pallanuotista, abituato dunque a stare in vasca, entrato in reparto covid e indossata la sua tuta anti contagio alla fine si è trovato in una situazione che gli sembrava di stare sott’acqua, una percezione particolare. Poi se vuole le racconto anche qualche esperienza divertente…”.

– A proposito di divertente: Lei prima ha parlato di ‘tuta’. Nel testo c’è una testimonianza che mi ha fatto tornare alla mente i libri Stefano Benni. Una dottoressa che parla della propria esperienza sentendosi una vera e propria eroina e che ogni mattina, prima di andare in ospedale, nel reparto covid, deve indossare un diverso costume proprio da supereroe!

“Sì, la cosa divertente è che la collega in maniera spiritosa racconta che mi chiamano eroe e come tale mi devo vestire. Ma come supereroe a me piace Batman, che però rappresenta un pipistrello, e se il virus del covid deriva proprio dal pipistrello forse non è il caso che io vada in ospedale vestita da Batman. Oppure aggiunge meno male che c’è il covid, così riesco a parcheggiare in ospedale senza fare i miei soliti cinque giri per trovare un posto. Oppure quando finisce il turno, esce dall’ospedale stressata e la cosa più bella è andare a fare colazione al bar, dove le offrono caffè, cappuccino, di tutto e di più, perchè ha lavorato in ospedale. Dunque, oltre all’ironia, nel racconto c’è anche il rispetto per la professione medica e soprattutto per i malati”.

 

– ‘Giuro di non dimenticare’ è il titolo di questo volume, con 28 storie. Quale potrebbe essere il titolo del secondo?

“Le idee vengono all’improvviso. Per il momento le posso dire che i colleghi sono contentissimi di questa nostra iniziativa. Un titolo potrebbe essere ‘Giuro di ricordare’ ma la mia percezione è quella di cercare di andare ad analizzare come è cambiato l’approccio del medico all’inizio della pandemia e subito dopo, nella terza fase. Capire, dunque, quale sia la percezione del medico. Ci sono certamente maggiori conoscenze e altrettanta stanchezza ma bisogna correlare la professione con il paziente. E allora un altro titolo potrebbe essere ‘Caro paziente ti ascolto’, ma sto ragionando in maniera non strutturale. E’ necessario avere un’idea precisa perchè bisogna tenere vivo questo periodo anche per il futuro e per non commettere gli stessi errori del passato”.


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