Perché è pericoloso accedere a Mes senza una visione per la sanità
Il ricorso al finanziamento Mes deve essere supportato da una vision, da un progetto che sia in linea con l’attuale contesto epidemiologico e sociale.
Il commento di Guido Quici, Presidente CIMO-Fesmed.
La questione Mes, che vede un confronto serrato anche interno al governo, pone la sanità italiana e il suo futuro di fronte a un bivio: avviare un serio processo di ristrutturazione del nostro Ssn, attraverso un progetto strutturale e una visione, o utilizzare il finanziamento ancora una volta per accontentare in modo distributivo tutti vari stakeholders, senza scontentare nessuno?
Per il momento, sembra che la pandemia da Covid-19 non abbia ancora insegnato nulla, perché si continua a perseguire una politica sanitaria fatta di “copia-incolla” di vecchi testi che si ripetono negli anni senza alcuna forma di modernizzazione rispetto ad un mondo che inevitabilmente cambia nei suoi aspetti epidemiologici e sociali.
Ne è la dimostrazione il “nuovo” Piano Nazionale di Prevenzione 2020-2025 appena licenziato dal ministero della Salute che riconferma, sostanzialmente, i 5 “macro obiettivi” da perseguire nel prossimo quinquennio con 13 Linee di supporto centrale, Covid incluso, ampliandone le azioni ma senza alcun finanziamento aggiuntivo.
Nessun impegno dello Stato nel mettere ulteriori risorse, ferme a 15 anni fa perché, con soli 200 milioni di euro annui aggiuntivi sulle risorse che costituiscono oggi il livello di finanziamento corrente al Ssn, si pretenderebbe di ottenere: una efficace integrazione di ruoli ed interventi con il Piano delle cronicità, a costo zero; la gestione delle emergenze epidemiche incluso il Covid-19; i rapporti riguardanti la rete oncologica; la lotta alle dipendenze, gli incidenti domestici e stradali, l’ambiente, clima e salute, le malattie infettive, la prevenzione nei luoghi di lavoro, ecc.
Intanto si prevedono risorse per i cosiddetti “infermieri di quartiere”, senza quartiere; si incrementano le terapie intensive e subintensive di circa 8 mila posti letto, senza medici specialisti; si improvvisano strutture dedicate Covid, spesso vuote, senza un necessario approfondimento su quale dovrebbe essere l’ospedale del futuro con le sue dinamiche in termini di flessibilità, adattamento alle emergenti esigenze anche di natura pandemica, adeguamento tecnologico nell’ottica del miglior uso dell’intelligenza artificiale.
Come sindacato dei medici ospedalieri Cimo-Fesmed stiamo cercando di mettere in evidenza che il ricorso al finanziamento Mes deve essere supportato da una “vision”, da un progetto che sia in linea con l’attuale contesto epidemiologico e sociale, portando conseguentemente a rideterminare il finanziamento e i modelli organizzativi e di governance.
Innanzitutto, il problema della sostenibilità del Ssn e i gap di assistenza tra le Regioni non si risolve senza un reale processo di ristrutturazione e ripartizione del finanziamento. Continuare ad elaborare piani di prevenzione e cronicità, sulla carta a costo zero, testimonia la mancanza di una visione globale sulla sanità, ancora considerata come un mero costo e non come un investimento.
Analogo discorso riguarda l’attuale sottofinanziamento dei Lea.
In un’ottica di riorganizzazione dei servizi ospedalieri e territoriali, occorre ampliarne l’offerta per dare maggiori opportunità ai cittadini in modo da ridurre quelle diseguaglianze create dall’autonomia differenziata; solo in queste condizioni sarà possibile definire, in modo trasparente, anche il ruolo e gli ambiti della sanità integrativa.
Per l’assistenza ospedaliera occorrono modelli flessibili che prevedano la chiusura dei piccoli ospedali e la gestione modulare dei grandi ospedali pronti ad affrontare, in tempi di epidemia, le possibili emergenze senza mai abbassare i livelli di assistenza per le altre patologie, ad iniziare dall’oncologia.
Ma una vera riforma passa anche attraverso una profonda riflessione sui professionisti e, in particolare, sul ruolo del medico. Parliamo di una professione intellettuale e della conoscenza che necessita di una vera autonomia nella diagnosi, nella terapia e nella gestione degli strumenti di governo clinico. Per i medici della dipendenza pubblica, questo presuppone una nuova governance nella rappresentanza sindacale: con possibilità contrattuale al di fuori della Funzione Pubblica e rapporti diretti con Ministero della salute e regioni.
In sintesi, occorre una vera riforma a 360 gradi con l’opportunità di utilizzare risorse straordinarie a condizione che le stesse non si trasformino in mancati risultati e in un boomerang contro i cittadini italiani ai quali, in caso di fallimento, potrebbe essere chiesto un prezzo troppo alto in termini economici e di salute.