Quici (Cimo-Fesmed): «Rivedere il finanziamento di SSN e LEA, riorganizzare la gestione regionalizzata e riformare al formazione»
Affrontare il sottofinanziamento del SSN in modo strutturale, rivedere il sistema di finanziamento dei LEA, riorganizzare le divisioni interne della sanità e la gestione regionalizzata, ridare centralità al Ministro della Salute, avviare una riforma della rappresentanza e della rappresentatività e, non ultimo, seria revisione del percorso formativo dei medici: questi i pilastri delle azioni per la sanità secondo CIMO-FESMED nel dopo-Covid.
Infatti, non solo la pandemia ha fatto emergere quelle criticità di cui troppo spesso si è discusso senza mai trovare una soluzione idonea, ma bisogna trasformare la fase successiva nell’opportunità di rivedere strutturalmente le carenze e le distorsioni che già avevano messo in crisi, ben prima, tutto il SSN. Ecco a cosa sarebbe necessario mettere mano subito:
Affrontare il sottofinanziamento del SSN in modo strutturale, utilizzando, come “volano” le opportunità della pandemia per reinvestire in modo convinto nel SSN. Non è solo una questione di risorse, ma è anche una questione di visione strategica rispetto alla quale il miglioramento dell’offerta sanitaria può avvenire solo attraverso un potenziamento ed un riequilibrio delle risorse. Occorre rivedere l’attuale ripartizione del fondo sanitario, oggi poco equilibrato e causa delle attuali diseguaglianze regionali ma, al tempo stesso, occorre intervenire, in modo più trasparente e strutturato, sui processi che portano alla determinazione del fondo sanitario nazionale. Soprattutto in considerazione del fatto che il FSN ricomprende tutte le voci di spesa: dal costo della siringa, al costo delle tecnologie, delle prestazioni sanitarie pubbliche, convenzionate o private, fino al costo del personale. L’attuale contesto lascia ampia discrezionalità alle regioni su come suddividere la spesa con i risultati che tutti conosciamo.
Rivedere il sistema di finanziamento dei LEA e, soprattutto, il sistema di verifica per gli adempimenti LEA delle regioni, perché in molti casi sono basati su atti formali, poco adeguati alle singole realtà epidemiologiche, organizzative e strutturali. Entrando nel merito, facendo tesoro anche della esperienza di questi mesi, si ritiene prioritario investire in PREVENZIONE il cui attuale ruolo è del tutto marginale e la stessa pandemia ne ha evidenziato le criticità. Occorre finanziare davvero il Piano delle Cronicità, oggi previsto solo sulla carta. Il ruolo del TERRITORIO diventa, quindi, essenziale ma a condizione che l’efficienza della rete territoriale sia supportata da un costante monitoraggio della spesa sanitaria attraverso la definizione di costi e delle prestazioni standard ancora da definire in modo compiuto. Se per l’OSPEDALE occorre evitare il pericolo che la pandemia da Covid “distragga” risorse dalle restanti patologie acute, vanificando il DM 70/15, CIMO-FESMED propone la costituzione di un 4° livello di assistenza, magari finanziato con l’1% del FSN, che ricomprenda tutta l’area dell’emergenza-urgenza per creare quella rete unica dell’emergenza e quel ruolo unico dei professionisti, atteso da oltre 25 anni.
Basta con una sanità a “silos” (regioni/aziende, pubblico/privato, ospedale/territorio, dipendenza/convenzionata, ecc.) e con le autonomie regionali: entrambi i fattori hanno dimostrato che l’assenza di una regia comporta non solo diseguaglianze tra i pazienti, ma favorisce modelli organizzativi troppo autoreferenziali che, alla lunga, condizionano la vita degli stessi cittadini. Non è solo questione di gestione delle risorse umane, strumentali e strutturali ma di interventi su dinamiche che vanno oltre: offerta sanitaria, accessibilità alle cure, poteri sostitutivi in tema di equivalenza terapeutica, regole di payback, fondi integrativi, percorsi di formazione del personale sanitario e livelli di responsabilità. Occorre, quindi, che il Ministero della Salute riacquisisca il ruolo centrale assicurando l’universalità, l’equità e l’accesso alle cure su tutto il territorio nazionale.
Strettamente correlata è la necessità di avviare una riforma della rappresentanza e rappresentatività che possa riguardare tutti i professionisti della salute nell’ottica di una vera integrazione tra ospedale e territorio. Il passaggio di tutti i medici e sanitari dipendenti del Ssn sotto il controllo del Ministero della Salute, per rendere più immediato il dialogo tra i professionisti e il Dicastero lasciando, ovviamente, alle Regioni la gestione della spesa sanitaria e l’organizzazione del lavoro di tutto il personale sanitario, medici dipendenti e convenzionati compresi. La definizione di aspetti contrattuali sinergici tra medici della dipendenza e della convenzionata, darebbe una vera svolta nel modello di complementarietà tra ospedale e territorio, di cui si è sempre discusso, senza mai realizzarlo.
Non ultimo una seria revisione del percorso formativo dei medici. Non è possibile che un Paese come l’Italia si permetta il lusso di far laureare migliaia di medici senza specializzarli vanificando, così, le ambizioni e i sacrifici di tanti anni di studio e, poi, in situazioni di emergenza come il Covid, li lancia nella “mischia” senza tutele. Il falso mito dell’abolizione del numero chiuso alla facoltà di medicina è strumentale perché tende a distogliere l‘attenzione dal vero problema legato al mancato accesso alle scuole di specializzazione. Abbiamo visto quanto è successo di recente a causa della mancanza di alcune figure specialistiche. E’ il momento di investire davvero in questo settore e nella ricerca evitando interventi spot ma garantendo a tutti i neolaureati una vera continuità, tra laurea abilitante, specializzazione e accesso al SSN.
Una vera riforma del DL. 502/92 e del nefasto processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie diventa, quindi, una priorità che deve coinvolgere i professionisti e i cittadini per assicurare un futuro non costellato da continue emergenze che mettono a serio rischio non solo la salute dei cittadini, ma anche l’economia e lo stato sociale.