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Emergenza Coronavirus, le richieste dei sindacati: «Scudo giudiziario, fondo per gli indennizzi e revisione della responsabilità professionale»

Palermo (Anaao): «Passare da impianto basato sulla colpa ad uno basato sull’errore». Vergallo (AAROI-EMAC): «La pandemia ha esacerbato il sovraccarico di responsabilità degli operatori sanitari». Quici (Cimo-Fesmed): «Gravi responsabilità da parte di ISS, Protezione Civile e Direttori Generali». Filippi (Fp Cgil Medici): «Medici e pazienti che si infettano a causa di carenze nell’organizzazione devono poter ricorrere contro l’ente»

 

Uno scudo giudiziario limitato agli esercenti la professione sanitaria (e non alle strutture), un fondo ad hoc per gli indennizzi a persone (siano esse pazienti o professionisti sanitari) che hanno contratto il Covid-19, cambiare il paradigma alla base della colpa medica, passando dal concetto di dolo a quello di errore. Sono queste le tre carte messe sul tavolo dai sindacati della dirigenza medica per affrontare l’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus, almeno per quanto riguarda il campo della responsabilità professionale. Alcuni emendamenti, presentati e poi ritirati nelle scorse settimane, proponevano infatti uno scudo penale e civile per proteggere, almeno in questo periodo, sia i medici che le strutture dalle richieste di risarcimento. I sindacati, però, hanno sollevato un muro sul secondo aspetto, quello relativo alle strutture.

 

«Siamo di fronte ad una situazione in cui l’operatività è assolutamente fuori dall’ordinario – spiega Carlo Palermo, Segretario di Anaao –. Non esistevano indirizzi precisi, il piano pandemico non è stato attivato e sono saltati tutti i meccanismi di tutela dell’integrità psico-fisica degli operatori. In una situazione del genere, è chiaro che sia più facile commettere errori. Per questo ci vuole uno scudo di tipo giudiziario che limiti la procedibilità, nei confronti degli esercenti la professione sanitaria, per quanto riguarda il dolo. Sarebbe però utile – spiega ancora Palermo – che anche in prospettiva si cominciasse a pensare ad una revisione globale della colpa medica, passando da un impianto basato sulla colpa ad uno basato sull’errore, in una visione in linea con i Paesi del Nord Europa: qui si ragiona in modo diverso, si discute dell’errore, si innescano processi di audit, intervengono l’azienda e lo Stato con un fondo ad hoc per erogare l’indennizzo. Noi invece passiamo ogni volta per il ricatto del procedimento penale». Esiste però anche un altro problema, almeno per gli operatori sanitari: «I medici non solo si trovano ad essere oggetto di procedimenti, ma sono anche soggetti che hanno ricevuto un danno. Al momento contiamo oltre 17mila professionisti contagiati dal Covid-19. Noi vogliamo tutelare le strutture sotto il profilo della responsabilità economica risarcitoria. Ci deve essere un fondo ad hoc, ma questo non significa che chi ha responsabilità nell’organizzazione della sicurezza di chi lavora debba rimanere impunito. Lo Stato deve intervenire istituendo fondi appositi per garantire gli indennizzi».

 

Che il momento attuale sia quello giusto per rivedere le regole della responsabilità degli esercenti la professione sanitaria lo pensa anche Alessandro Vergallo, Presidente Nazionale AAROI-EMAC: «La pandemia ha esacerbato una situazione già molto pesante di progressivo sovraccarico di responsabilità civile e penale nei confronti degli operatori sanitari. È quindi l’occasione giusta per ridiscutere tutto l’impianto, anche ad emergenza conclusa. La legge Gelli-Bianco, da questo punto di vista, non ha risolto granché: ai medici italiani viene addossato un carico di responsabilità unico nel mondo insieme a Messico e Polonia, ovvero gli unici Paesi a prevedere la responsabilità per colpa sotto il profilo penale dell’operatore sanitario». Per quanto riguarda le proposte fatte per prevedere uno scudo per medici e strutture, Vergallo conferma la posizione unitaria dei sindacati: «Di tutti gli emendamenti proposti, nessuno era accettabile. Noi sosteniamo che vada delimitato il confine tra coloro che, in questa situazione, sono del tutto incolpevoli, ovvero i medici mandati ad operare a mani nude contro questa pandemia, e chi aveva la responsabilità di gestire le strutture in ordine alla fornitura dei dispositivi di protezione. Noi siamo lavoratori dipendenti – spiega Vergallo – e quando andiamo a lavorare in ospedale, la struttura deve fornirci tutti gli strumenti necessari, come il bisturi o il filo di sutura. In questa epidemia la struttura deve farsi carico anche dei Dpi».

 

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Andrea Filippi, Segretario Generale di Fp Cgil Medici: «Si tratta di una problematica molto complessa da risolvere: bisogna coniugare l’assoluta e inderogabile necessità di creare uno scudo per i professionisti del Ssn che li sollevi dalla responsabilità personale, con l’altrettanto importante necessità di lasciare viva la responsabilità delle strutture sanitarie nei confronti dei cittadini e degli stessi operatori. Insomma, un soggetto responsabile, come costituzionalmente previsto, deve esserci. Medici e pazienti che si infettano a causa di carenze nell’organizzazione devono avere il diritto a ricorrere contro l’ente. La strada – continua Filippi – è dunque quella di uno scudo che sollevi dalla responsabilità professionale personale tutti gli operatori sanitari, perché questi stanno lavorando in una situazione di tale emergenza che lasciare uno spiraglio aperto vuol dire lasciar passare lo sciacallaggio di molti studi legali, che già adesso stanno avviando cause contro i professionisti a causa del Coronavirus».

 

«È stato fatto un tentativo – spiega Guido Quici, Presidente della Federazione Cimo-Fesmed – di depenalizzare eventuali inadempienze organizzative da parte delle strutture sanitarie con la scusa di proteggere i medici da eventuali contenziosi a causa della situazione di emergenza che stiamo vivendo. Insomma, faccio finta di proteggere i medici che, in questa fase, potrebbero essere oggetto di contenzioso, ma in realtà salvo i direttori generali e le amministrazioni sanitarie per la mancata fornitura di presidi, Dpi e quant’altro. È ovvio che una cosa del genere non è ammissibile. In una situazione di questo tipo – spiega Quici – lo Stato dovrebbe modificare la legislazione attualmente vigente per ridurre le sanzioni per i camici bianchi nel caso di eventi avversi. Se ciò viene allargato anche alla struttura, né il paziente né il professionista, in caso di infezione o di decesso, possono chiedere un risarcimento all’azienda che, magari, non ha fornito i dispositivi di protezione necessari, specialmente nel primo mese di diffusione del virus. In questo contesto ci sono delle gravi responsabilità da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, della Protezione Civile e dei Direttori Generali». Secondo Quici, insomma, la limitazione della responsabilità degli operatori sanitari sarebbe poco più che uno specchietto per le allodole: «Circa il 90% degli eventi avversi è legato a questioni organizzative e non all’atto medico in sé. Per questo, se ci sarà o meno questa modifica, a noi cambia poco. Quel che però era inaccettabile era lo scudo per le strutture. So che c’è la volontà del Governo di risolvere la questione entro il 30 aprile, ma non sono molto ottimista: si troverà il solito escamotage che sanerà tutto». Ma una volta che, in un modo o nell’altro, la questione sarà chiusa, Quici chiederà «le dimissioni dei componenti della commissione dell’ISS, che ha creato questo grave danno ai medici».


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