Contratto ospedalieri, i sindacati non firmatari: peggioramenti su tutela legale, orari lavoro e merito
Il medico ospedaliero è chiamato in causa da un paziente insieme all’ospedale, vuole difendersi con un suo avvocato di fiducia, ma per questo deve chiedere autorizzazione all’ospedale. Se l’ente gli dicesse no, ad esempio perché vuole imporgli il proprio legale, fino a ieri comunque lo stesso ospedale pagava al medico le spese legali in caso di vittoria. Ora non è più tenuto. E’ una delle novità “in peggio” osservate dai sindacati Cimo Fesmed Anpo-Ascoti-Fials medici. Le sigle, riunite nel Patto per la Professione Medica, individuano queste ed altre “falle” nel contratto che – a differenza di tutti gli altri sindacati – non hanno firmato lo scorso luglio con l’agenzia di parte pubblica Aran. E chiedono dei correttivi. Sul tema del legale di fiducia, Guido Quici, presidente del Patto, sottolinea: «Che le aziende tentino di mettere il proprio legale a disposizione del medico chiamato in causa (civile o penale) è vessatorio specie nei casi in cui il medico e l’ente ospedaliero si ritrovino di fatto in contrasto, come negli eventi avversi, legati per l’80% a responsabilità aziendali (per ammissione della stessa federazione di Asl e ospedali Fiaso) dove l’avvocato dell’azienda tenderà per forza a mettere in buona luce l’istituzione per cui lavora. A detrimento, se occorre, della posizione del medico».
Altro tema scottante, la tutela dei dirigenti in particolari condizioni psico-fisiche: il nuovo accordo all’articolo 46 conferma le azioni volte al recupero di dirigenti tossicodipendenti o alcolisti di cui all’articolo 12 del contratto 2004, ma disapplica l’articolo 13 del vecchio contratto che prevedeva analoghe tutele a favore dei dirigenti portatori di handicap. Volontà di escludere i portatori di handicap o dimenticanza per la fretta di chiudere? Che la fretta non sia mancata nelle trattative lo rivelano, per il Patto, dettagli come l’aver ricondotto le assenze previste per la donazione di sangue alla legge 107/90 abrogata anziché alla nuova 219/05. Ma i problemi chiave sono sull’orario di lavoro. «Le 48 ore massime lavorative a settimana per le norme europee vanno misurate nell’arco di 4 mesi, mentre il nuovo contratto le misura nell’arco di 6 mesi, con conseguenze peggiorative», spiega Quici. «E ancora, si consente di introdurre la pronta disponibilità pomeridiana, che favorisce la permanenza di organici scarsi a detrimento della qualità del lavoro del medico, per decisione del comitato paritetico aziendale, che potrebbe essere influenzato dal DG; in caso di chiamata il lavoro si considera sospeso e il riposo dopo può riprendere per le sole ore mancanti e non ripartire da zero; intanto però c’è un limite massimo elevato, fino a 5 turni notturni e 10 disponibilità mensili, che nei reparti con poco personale se sfruttato per intero può significare per il sanitario una notte su due al lavoro».
Quici nota altre incongruenze in tema di relazioni sindacali. Prima, all’Organismo Paritetico è preclusa la partecipazione della Rappresentanza Sindacale Aziendale. Seconda, all’articolo 7 si ammettono i sindacati aziendali alle trattative aziendali (lettera a) insieme ai rappresentanti territoriali dei sindacati firmatari (lettera b), ma all’articolo 8 comma 3 si precisa che l’Azienda per l’avvio del negoziato convoca solo questi ultimi. «Se vi era la volontà di escludere i rappresentanti aziendali, è grave; se si tratta di dimenticanza per la fretta di chiudere, è ancora più grave». Infine alcuni trattamenti economici sono penalizzati. L’articolo 90-bis comma 1 sembra ridurre per gli ex primari l’indennità di specificità medico-veterinaria da euro 11.189 a 8.476,34 annui a decorrere da gennaio 2019. L’intenzione pare quella di portare l’indennità all’importo oggi corrisposto come da contratto nazionale 2002-2005 (3 novembre 2005) prescindendo dalla storia personale dei dirigenti medici. Ma esiste un principio giuridico fondamentale secondo cui i benefici fissati da una qualsiasi norma, legislativa o contrattuale, non possono essere revocati se attribuiti a titolo personale. Si spalancano le porte al contenzioso. In una parte del testo come valore minimo annuo della retribuzione di posizione si indicano 5.000 euro per i dirigenti con anzianità da 5 anni in su, da un’altra lo stesso testo fissa una retribuzione minima di 5.500 euro lordi l’anno. All’articolo 95 si precisa che al nuovo fondo di risultato confluiscono i residui di anni precedenti, ma la normativa in materia impone di far confluire nel fondo le somme non spese dei fondi di posizione e disagio nell’anno cui quei fondi si riferiscono. Fretta o precisa volontà?
Mauro Miserendino