COMUNICATO STAMPA
PIANO LISTE ATTESA, PER CIMO IN BILICO TRA TEORIA E GIOCO DI PRESTIGIO
L’obiettivo di garantire tutte le prestazioni è incompatibile con la carenza dei medici
Roma, 21 febbraio 2019 – L’approvazione del nuovo Piano nazionale di governo delle liste d’attesa (PNGLA), prevista oggi a valle del parere favorevole espresso dalla Commissione Salute delle Regioni, cerca di dare risposte concrete ai bisogni dei cittadini ma, secondo il sindacato dei medici CIMO, è l’ennesimo sforzo di pura teoria che non affronta il nodo reale della questione e che, se si blocca la libera professione, aumenterà i tempi per le prestazioni.
Le liste di attesa, ricorda CIMO, nascono a causa dei ridotti finanziamenti sulla sanità e sul personale, che alimenta la carenza di medici specialisti a disposizione, e il concomitante aumento del fabbisogno di cure, che andrà crescendo stante il trend di invecchiamento della popolazione e l’evoluzione delle tecnologie diagnostiche.
Anche se la libera professione verrà concessa come opzione straordinaria, è prevedibile che la stessa diventi cronica. Considerare che le prestazioni libero professionali a favore dell’Azienda rappresentino – come cita il PNGLA – uno strumento “eccezionale e temporaneo per il governo e il contenimento dei tempi d’attesa”, appare del tutto irrealistico sia per la mancanza delle necessarie risorse economiche ma, soprattutto, per l’attuale grave carenza di personale medico.
Se, come richiede il PNGLA, l’obiettivo è allo stesso tempo di garantire tutte le prestazioni sanitarie (in tempi accettabili) e di contenere gli oneri a carico dei bilanci delle Asl, come CIMO ci domandiamo come possa riuscire un tale gioco di prestigio dato che l’attuale finanziamento dei LEA è del tutto insufficiente al reale fabbisogno di cure. E dato che il PNGLA prevede che ciascuna Azienda possa provvedere alla definizione di eventuali fabbisogni di personale e di tecnologie in relazione all’obiettivo della riduzione dei tempi di attesa, come potrà farlo se il limite per la spesa del personale rimane non solo bloccato a quello del 2004, ma decurtato di un ulteriore 1,4%?
A questo interrogativo si aggiunge quello sulla effettiva destinazione d’uso dei proventi aziendali ricavati dalla libera professione, il cui utilizzo doveva già da tempo essere funzionale a interventi per la riduzione dei tempi di attesa e non certamente a generici risparmi aziendali. Solo tra il 2010 e il 2016 le aziende hanno incassato per sé dall’esercizio della libera professione ben oltre 1,2 mld, un vero e proprio “tesoretto” con cui si sarebbe dovuto e potuto mettere seriamente mano ai problemi che l’attuale PNGLA cerca di risolvere. Eppure (guardacaso!), ad oggi non sempre si ha la rendicontazione trasparente circa l’utilizzo di tali proventi da parte delle aziende.