Intervento di Giorgio Ambrogioni Presidente CIDA
AUDIZIONE
XI COMMISSIONE (Lavoro pubblico e privato) CAMERA DEI DEPUTATI
Esame proposte di legge AC 294, 310 e 1071 recanti disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale
Roma, 9 ottobre 2018
Premessa
E’ anzitutto doveroso sottolineare che l’uso del termine “pensioni d’oro” è per noi improprio ed inaccettabile, specialmente all’interno di un serio dibattito tecnico in sede parlamentare. In questa sede si deve infatti discutere di leggi vigenti al momento del pensionamento, di effettiva contribuzione, di durata del rapporto di lavoro, di equo rapporto fra data di pensionamento e anzianità contributiva, di limiti costituzionali agli interventi legislativi, ecc.
Le pensioni medio-alte, che ci onoriamo di rappresentare, sono infatti il risultato di una storia professionale connotata da assunzione di rischi, responsabilità e merito nonché dall’applicazione puntuale di Leggi dello Stato.
Queste pensioni, peraltro, hanno subito nel tempo gli effetti negativi di ripetuti blocchi totali o parziali di adeguamento al costo della vita: secondo gli studi di settore effettuati, detti interventi determinano una perdita del potere di acquisto compreso fra il 15 ed il 20%.
A questi vanno aggiunti anche i contributi di solidarietà.
La solidarietà previdenziale è peraltro connaturata al sistema di calcolo retributivo, mentre è completamente estranea a quello contributivo in cui il coefficiente di trasformazione si basa sulla attesa di vita. Infatti le pensioni medio-alte, a parità di aliquota contributiva, scontano già gli effetti di un sistema di rendimenti decrescenti (si passa da un rendimento del 2% ad uno dello 0,90%, pur in presenza di versamenti contributivi sulla retribuzione complessiva lorda). Ciò ne determina un consistente ridimensionamento con un effetto regressivo: ad esempio, una retribuzione di circa 200 mila euro/annui lordi genera una pensione pari a circa il 51% mentre una retribuzione di circa 46 mila euro/annui lordi genera una pensione pari a circa l’80%.
Rilievi di costituzionalità
La proposta di legge realizza una modifica in peius dei trattamenti pensionistici maturati e maturandi dai soggetti colpiti, senza però fissare alcun limite temporale.
In tal senso, giova evidenziare come, però, nel corso del tempo, la Corte Costituzionale si sia più volte espressa al riguardo, sancendo che interventi analoghi possano essere giustificati solo se “eccezionali” e “transitori” e comunque utilizzati come misura una tantum (Cort. Cost. nn. 173/2016 e 223/2012), in modo da non potersi trasformare in un meccanismo ordinario di alimentazione del sistema previdenziale.
Di tale evidente non conformità ai princìpi enunciati dalla Corte Costituzionale, è ben consapevole il proponente stesso, il quale, nella Relazione introduttiva, ha apertamente dichiarato la natura critica di tale aspetto.
Occorre ribadire che le argomentazioni usate nella Proposta a sostegno della permanenza e definitività dell’intervento modificativo in esame, risultano in evidente contrasto con quanto invece affermato dalla Corte costituzionale.
Il taglio retroattivo permanente dei trattamenti pensionistici implicherebbe la potenziale lesione del principio del legittimo affidamento nella certezza del diritto (quale elemento fondante dell’ordinamento giuridico) di tutti quei soggetti che hanno maturato un determinato trattamento pensionistico in base alla normativa vigente e modulato in base ad esso il proprio programma di vita. Per costante insegnamento della Corte costituzionale il mancato rispetto da parte del Legislatore del principio del legittimo affidamento si risolverebbe in un trattamento irragionevole comportando, di conseguenza, l’illegittimità delle disposizioni che andrebbero a causare la suddetta lesione (si veda in tal senso, ex plurimis, Corte costituzionale sentenze n. 69 del 2014; n. 170 e n. 103 del 2013; n. 271 e 71 del 2011, n. 236 e n. 206 del 2009).
Rilievi tecnici
Il calcolo dell’ammontare della propria pensione e del momento in cui ritirarsi dal lavoro sono scelte basilari per la vita di un individuo: tenendo conto di ciò che lo Stato propone nel pieno rispetto della legalità prevista, il cittadino sceglie di andare in pensione in un determinato momento risolvendo spesso anche problemi aziendali o istituzionali. E’ infatti frequente che il pensionamento venga visto positivamente o addirittura incentivato dal datore di lavoro, nel settore privato, mentre ai vertici del pubblico impiego, si verificano spesso situazioni di incompatibilità che anticipano il pensionamento.
La Proposta prevede “disposizioni per il ricalcolo secondo il metodo contributivo”.
In realtà, mancando sufficienti dati (sia nel settore privato che nel pubblico), i proponenti ricorrono all’effettuazione del ricalcolo esclusivamente in base all’età del pensionamento. La conseguenza è assurda: potrebbe venire penalizzato chi è andato in pensione a 60 anni pur avendo versato contributi per 40 anni e non chi è andato in pensione a 65 anni avendo versato contributi per soli 25 anni.
Infine, un altro aspetto da considerare è che i veri avvantaggiati dal metodo retributivo sono: “baby pensioni”, iscritti alle gestioni CDCM (agricoltori), artigiani e commercianti (dopo la legge del 1991). Queste pensioni hanno importi inferiori al limite posto dalla Proposta di legge ma usufruiscono di una maggiorazione tra il 30 ed il 50% rispetto ai contributi versati.
I numeri da tenere in considerazione
Su un totale di circa 16 milioni di pensionati, 8 milioni usufruiscono di prestazioni integrate o totalmente a carico della fiscalità (e quindi non soggette a imposizione Irpef). I pensionati con importi superiori a 3.000 Euro lordi/mese sono il 4,99% del totale.
Chi paga l’Irpef e quindi finanzia il welfare?
I contribuenti sopra i 100 mila euro lordi/anno – in cui sono presenti le categorie professionali che rappresentiamo – sono solo l’1,10% , ma pagano il 18,68% dell’Irpef.
Se a questi si sommano anche i titolari di redditi lordi superiori a 55.000 euro otteniamo che il 4,36% paga il 36,53% dell’Irpef e considerando infine i redditi sopra i 35.000 euro lordi risulta che il 12,09% dei contribuenti paga il 57,11% di tutta l’Irpef.
E paga per tutto l’arco della vita lavorativa e continua a pagare da pensionato, finanziando tutto il welfare, anche di chi non ha versato imposte e/o contributi.
Se guardiamo alle sole pensioni, i pensionati con redditi superiori a 35mila euro (7,15% del totale) pagano i 35,23% di tutta l’Irpef a carico dei pensionati.
Considerazioni finali
Tutto ciò premesso, le categorie che rappresentiamo da sempre attente ai temi della solidarietà intergenerazionale, dichiarano fin d’ora la propria disponibilità a trovare soluzioni mediante un confronto serio ed approfondito basato sulle disposizioni costituzionali più volte ribadite dalla Corte.