Di Maio: tagliare le pensioni d’oro. Ma la Lega vuole alzare la soglia
Borghi: tenere conto dei contributi versati. Sì alla riduzione sopra quota 5 mila euro
Si avvicina per il governo il momento di scoprire le carte sulla manovra economica e, inevitabilmente, sale il nervosismo tra Movimento 5 stelle e Lega, visto che appare impossibile realizzare tutte le promesse del programma senza far saltare i conti pubblici, e dunque andranno fatte delle scelte. Ieri è stato il vicepremier, Luigi Di Maio, a rilanciare uno dei cavalli di battaglia dei grillini: il taglio delle cosiddette «pensioni d’oro». Su questo, ha detto Di Maio, che è anche ministro del Lavoro e dello Sviluppo, «c’è una proposta di legge depositata alla Camera, firmata dai capigruppo dei 5 stelle e della Lega e si va avanti fino alla fine. Se qualcuno vuol dire che il contratto non lo si vuole attuare, lo dica chiaramente». Parole con le quali il capo del movimento ha voluto stoppare le critiche che da diversi giorni provengono dalla Lega, in particolare da uno dei suoi esperti di previdenza, Alberto Brambilla, al disegno di legge D’Uva (M5s) -Molinari (Lega), che prevede un taglio delle pensioni superiori a 80 mila euro lordi l’anno (circa 4 mila euro netti) tanto maggiore quanto minore è l’età in cui si è lasciato il lavoro. Un sistema che può far arrivare il taglio dell’assegno fino al 20-25%.
Le critiche di Brambilla
Brambilla, con i suoi studi, ha criticato la proposta non solo sotto il profilo della legittimità costituzionale, visto che intaccherebbe pensioni in essere liquidate in passato secondo le leggi vigenti, ma anche sotto il profilo dell’equità, mostrando che il taglio colpirebbe in particolare le pensioni d’anzianità più ricche, concentrate al Nord, senza tener conto dei contributi versati , e le donne, che in passato andavano in pensione 5 anni prima degli uomini. Brambilla ha quindi avanzato la controproposta di un contributo di solidarietà triennale crescente al crescere della pensione (da duemila euro in su).
Di Maio punta i piedi
Ieri il vicepremier ha detto basta: «Non voglio entrare in scontro con nessuno. Nel contratto abbiamo scritto che vogliamo tagliare le pensioni d’oro. Ora si sta dicendo che colpisce le donne e i pensionati del Nord: sia ben chiaro che noi agiamo su persone che prendono da 4 mila euro netti in su. Fatemeli conoscere questi poverelli e così capisco di che aiuto hanno bisogno». La Lega sembra però aver deciso di ricucire lo strappo. È intervenuto infatti il presidente della commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi (Lega), confermando l’appoggio al disegno di legge D’Uva-Molinari, ma prefigurando alcune modifiche dello stesso. In particolare, l’aumento della soglia oltre la quale scatterebbero i tagli: da 4 mila a 5 mila euro netti, conformemente a quanto previsto dall’accordo di governo, e il vincolo dei contributi versati, per evitare che col taglio si prenda meno di quanto spetterebbe in base ai versamenti fatti all’Inps durante tutta la vita lavorativa (rischio concreto per i lavoratori con alte retribuzioni e 40 o più anni di servizio). L’uscita di Borghi trova conferma nell’intervista pubblicata in questa pagina col sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon (Lega), che sta seguendo il dossier pensioni. Per chiudere l’incidente Borghi ha anche affermato: «Brambilla è un esperto che ascoltiamo con piacere ma non ha alcun ruolo interno alla Lega, tantomeno al governo».
Attacco alla Fornero
In ogni caso, la partita più importante sulle pensioni si giocherà con il Def, il Documento di economia e finanza che il governo presenterà entro il 27 settembre, e soprattutto con la legge di Bilancio 2019, che verrà varata dal Consiglio dei ministri a metà ottobre. Per la Lega, infatti, resta prioritario l’obiettivo di «quota 100» (somma di età anagrafica e contributi) come nuova soglia per l’accesso alla pensione. Se a questo poi si sommasse anche «quota 41», cioè la pensione anticipata con 41 anni di servizio indipendentemente dall’età, il Carroccio avrebbe fatto bingo a favore dei lavoratori con più contributi, concentrati al Nord. Ma solo per «quota 100», secondo le prime stime di Durigon, servirebbero 8 miliardi. Non si vede come il ministro dell’Economia possa dare il via libera. E soprattutto appare difficile che ciò possa avvenire sacrificando per esempio il reddito di cittadinanza che è invece la priorità per i 5 stelle.
29 agosto 2018 (modifica il 30 agosto 2018 | 09:13)
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