Il Ssn e la sindrome del Concorde
Gentile Direttore,
il dibattito conseguente alla presentazione della mozione Renzi sull’ipotesi di ritorno alle mutue, mi induce ad alcune riflessioni. Da anni, noi addetti ai lavori, ci ripetiamo che il nostro SSN è il migliore del mondo e che necessita solo di un adeguato finanziamento, destinato principalmente ad assumere personale; non ho però mai letto soluzioni concrete per reperire i fondi necessari in un contesto di crisi economica che dura da anni e che vede nel debito pubblico il maggior freno allo sviluppo.
Vorrei però analizzare l’assunto dal quale si parte: noi consideriamo il nostro SSN ottimo perché rispondente a principi di equità ed universalità, nonché in testa alle classifiche di confronto dei sistemi sanitari, che varie istituzioni internazionali elaborano.
Se però valutiamo queste classifiche ci accorgiamo che quelle dove abbiamo buoni risultati sono quelle relative allo stato di salute del Paese, mentre siamo agli ultimi posti in quelle relative al gradimento da parte dei cittadini e all’accessibilità dei servizi. Ora sappiamo bene che sullo stato di salute incidono prevalentemente fattori quali l’ambiente e lo stile di vita, piuttosto che il modello di SSN che invece diviene rilevante nelle analisi di gradimento da parte dei cittadini.
Mi ha colpito la pianta dell’Europa che rappresenta graficamente le conclusioni dell’indagine Euro Health Consumer Index 2016: i paesi con un SSN Beveridgiano (Italia, Inghilterra, Spagna, Portogallo) sono in giallo, risultato medio, oppure in rosso, negativo (Grecia). I paesi invece con un sistema Bismarckiano, hanno le miglior performance di gradimento. Probabilmente ha influito il fatto che la crisi economica del 2008 ha avuto conseguenze devastanti sui primi, finanziati direttamente dallo Stato, mentre ne ha avute minori sui secondi, finanziati con un sistema assicurativo.
Sistema universale: ogni anno importanti studi segnalano che una parte sempre più rilevante della popolazione non può usufruire dei servizi sanitari per ragioni economiche; nello stesso tempo, quella parte di popolazione che paga le tasse su redditi elevati si allontana dal SSN perché la medicina privata è per loro meno onerosa dei super ticket pubblici. Altro dato da non sottovalutare: tutti i contratti nazionali di lavoro nel settore privato prevedono fondi sanitari integrativi con la possibilità di estendere a pagamento le prestazioni ai familiari dei lavoratori, facoltà esercitata da quasi tutti.
Ma in Italia oltre al reddito la Regione di residenza incide, forse in maniera maggiore, sulla difficoltà ad usufruire concretamente delle prestazioni che il SSN deve erogare.
La sciagurata modifica del titolo V del 2001, aggravata dalla mancata introduzione di un vero federalismo che responsabilizzasse le Regioni, ed i cittadini nella gestione della spesa, ha amplificato le differenze storiche esistenti, creando 21 realtà profondamente diverse, sperperando denaro pubblico (o più correttamente i soldi dei contribuenti) e nelle quali gli stessi meccanismi che hanno creato le sperequazioni, impediscono di introdurre oggi i correttivi indispensabili; valga per tutte l’obiettiva difficoltà a riorganizzare la rete ospedaliera e territoriale nei territori dove la pressione clientelare è maggiore.
Non è equo, non è universalistico, non soddisfa i cittadini, né tantomeno i professionisti che ci lavorano, in particolare i medici che si trovano ad operare in situazioni organizzative disastrose, con turni sempre più stressanti e prospettive professionali e di carriera deludenti.
L’istituzione del SSN è del 1978, l’ultimo tagliando del 1999-2000, disastroso con l’affermazione dell’aziendalizzazione e del medico dirigente e alla contemporanea regionalizzazione; continuare ad invocare maggiori fondi temo sia un puro gioco retorico. Credo, infatti, che nessuno di noi ipotizzi un aumento delle tasse, quindi non resterebbe che ipotizzare trasferimenti da altri capitoli spesa, ma quali? In Italia spendiamo per il welfare più o meno quanto gli altri paesi europei, solo che la nostra spesa è destinata per il 66% alla previdenza, basterebbe spostare un paio di punti percentuali sul SSN ed il problema sarebbe risolto, ma nessun Governo e nessun Parlamento potrebbe mai approvarlo.
Quindi ritengo, che sia giunto il momento di mettere mano ad una riforma, che non ne stravolga i principi, ma li declini in una realtà socio economica ben diversa e con bisogni di salute notevolmente diversi dal 1978, rendendo il SSN veramente equo e funzionale al contesto sociale del prossimo futuro, aprendo con coraggio a soluzioni anche innovative in grado di correggere gli errori commessi e senza rimanere prigionieri della “sindrome del Concorde”.
Questo è l’impegno che occorre chiedere ai partiti ed ai movimenti che nei prossimi mesi si candideranno a governare l’Italia.
Riccardo Cassi – Presidente CIMO