CIMO SU DECRETO MADIA
Il Decreto Madia e un contratto a perdere
Quando l’ipocrisia sfiora l’offesa
Con la firma del Decreto, che sblocca i fondi per i rinnovi contrattuali della PA, il ministro Madia apre ufficialmente la stagione contrattuale ferma, oramai, da oltre sette anni. Il cosiddetto “fondone” comprenderà le risorse per il rinnovo contrattuale, nonché le assunzioni straordinarie ed il riordino delle Forze dell’Ordine.
Nessun dipendente pubblico nutre aspettative rassicuranti sul futuro contratto ma per i medici dipendenti si apre uno scenario davvero grigio che porta, nell’immediato, a rifiutare qualsiasi proposta di un contratto di lavoro “a perdere”.
Si parte dal comma 236 della Legge Finanziaria del 2015 che vanifica definitivamente le aspettative contenute nell’art. 22 del Patto della salute in tema di valorizzare delle professioni sanitarie e sviluppo di carriera per effetto del congelamento del trattamento accessorio del personale con riduzione dei fondi in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.
Un anno fa in occasione dell’incontro dei Sindacati medici presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (9 marzo del 2016) per la Vertenza Salute, il Governo aveva sottolineato l’importanza di premiare il merito ma, evidentemente, era l’ennesimo “spot”.
Oggi la Madia, che nel frattempo ha dimenticato che i problemi legati al precariato medico sono ricompresi nella Pubblica Amministrazione, dispone la proroga al blocco dei fondi accessori facilitando l’ulteriore depauperamento della massa salariale.
Ma non è finita qui perché l’art. 23 della recente Legge di riforma della PA introduce quel processo, meglio definito come sperimentazione, attraverso il quale si tenderà ad “armonizzare” i trattamenti economici accessori per ogni comparto o area con graduale convergenza dei trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione.
Tutto questo, tradotto nel mondo del medico dipendente, significa che l’armonizzazione porterà ad un livellamento verso il basso del salario per favorire quella armonizzazione tanto cara alla Madia a sostegno di altre figure professionali con ulteriore appiattimento della carriera.
Se poi aggiungiamo i costi che i medici sostengono, ogni anno, nei confronti delle Compagnie assicurative per la responsabilità professionale ed il “pizzo” sempre più elevato a favore delle aziende per la libera professione, allora si comprenderà bene come non esistono le condizioni per avviare un contratto a “perdere”.
Allora, prima di qualsiasi proclamo circa l’avvio della tornata contrattuale, il Ministro Madia ci chiarisca se l’art. 23 della riforma PA riguarda anche la sanità.
E tutto questo porterebbe ad una valorizzazione del merito e la qualità dei servizi garantendo adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa?
La percezione è che queste frasi, di evidente ipocrisia contenute nel testo di riforma, sfiorano l’offesa ad una categoria che ogni giorno deve tutelare la salute dei cittadini affrontando, sulla propria pelle, i disservizi creati della burocrazia.
GUIDO QUICI
Vice Presidente Vicario CIMO