Il nuovo contratto dei medici e l’Atto d’indirizzo: se si bada più ai principi che ad azioni concrete (Quotidiano Sanità)
Gentile direttore,
ho letto con molto interesse l’intervento sull’atto di indirizzo dei dott. Alessi e Proia, componenti del Comitato di Settore – sanità, professionisti esperti di sanità e, soprattutto, delle dinamiche che sottendono al mondo del lavoro dipendente.
Personalmente credo che abbiano centrato il problema: non è possibile rinnovare un contratto di lavoro, fermo da circa 7 anni, senza che esso contenga una vera spinta motivazionale. Eppure chi fa il mestiere di medico o di infermiere o di tecnico, ha sempre mostrato competenza e motivazione, tutti i giorni nei propri luoghi di lavoro soprattutto in tempi grigi, quelli degli ultimi anni, che hanno visto le aziende sanitarie preda di “scorribande” politiche che hanno, troppo spesso, mortificato i professionisti per non parlare, ovviamente, degli infiniti tagli lineari che hanno creato un vero contesto di disagio e di rischio lavorativo legato sia agli aspetti organizzativi che gestionali.
Chi, però, ha lavorato in sanità negli ultimi anni si è reso conto che la spinta motivazionale, per vicende professionali che ciascuno ha vissuto sulla propria pelle, ha subito un processo involutivo sconfinato, dapprima, verso un atteggiamento di sconcerto ed irritazione e, poi, verso uno stato di vera e propria sofferenza e depressione legata alla percezione che non vi sia più una via di uscita dal lungo tunnel.
Non si può fare sanità senza i sanitari, la qualità delle prestazioni non è solo legata alle tecnologie ma soprattutto alla forza lavoro. Quindi hanno ragione Alessi e Proia che occorre uno sbocco riformatore positivo e che il fattore principe è la risorsa umana su cui occorre investire attraverso risorse economiche, certezze contrattuali, tutele professionali e riconoscimento del merito e della professionalità.
Ma tutto questo, purtroppo, non sembra intravedersi nell’atto di indirizzo che sembra improntato più su principi che azioni.
Un contratto ideale dovrebbe vedere i principali attori (sindacati, comitato di indirizzo ed ARAN) uscire dai soliti “riti”, lontani dalle realtà lavorative ed abbandonare la logica “play station” che governa i processi da una “console” a distanza ed adottare, secondo la moda più recente, la logica “Pokemon go”, che va incontro all’obiettivo finale, accertare le reali esigenze di chi cura le persone proprio per rilanciare la risorsa umana come valore essenziale per una sanità moderna.
Ovviamente il mio punto di vista può apparire utopistico ma se solo ci chiedessimo perché i contratti decentrati non sono applicati in gran parte delle aziende; del perché la norma sull’orario di lavoro continua ad essere disattesa; del perché il medico di guardia è sempre abbandonato al proprio destino senza vere tutele; del perché l’art. 18 è interpretato “a soggetto”; del perché vi sono direttori di struttura responsabili in più presidi distanti decine di chilometri tra loro; del perché i costi assicurativi ricadono sempre di più nelle tasche dei medici, familiari ed eredi; del perché la libera professione è fortemente limitata da burocrazia e preconcetti che vedono sempre i medici sul banco degli imputati pur consapevoli che le liste di attesa sono la risultante di processi organizzativi imposti dalle stesse aziende sanitarie.
Ecco solo pochi esempi su cui occorre lavorare senza dimenticare che la “logica dello sviluppo” contro la “desertificazione delle idee” deve basarsi su azioni concrete e non essere improntata su di una sanità a basso costo, magari prodiga di tante medaglie di latta a fronte di migliaia di ore di lavoro aggiuntive senza le necessarie risorse e tutele.
Guido Quici
Vice Presidente Vicario Cimo