Notti di paura in Guardia Medica (QUOTIDIANO DI SICILIA)
È inverno, mancano pochi minuti alle otto, è già buio da un pezzo e la serata si annuncia fredda e ventosa. Marianna scende dalla sua auto e cammina svelta sul marciapiede mal rischiarato dalla debole luce del lampione stradale che proietta sul cemento l’ombra allungata della sua sottile figura. Si avvia verso il piccolo edificio dal portoncino di legno marrone con la vernice scrostata dall’umidità e dal tempo. L’entrata della Guardia Medica è illuminata soltanto dal neon della tabella con la scritta rossa. Un’occhiata ai locali deserti genera il solito senso di disagio. Scrolla le spalle e va subito a sistemare le sue cose. Il turno di guardia inizia alle otto di sera e lei non ha ancora messo niente sotto i denti, non ne avrebbe avuto né la voglia né il tempo, visto che fa anche la moglie e la mamma. Ripone la ciotola con l’insalata che si è portata per cena e le due mele di scorta nel caso le venga fame durante la notte. Come al solito passa in rassegna le finestre, accertandosi meticolosamente che le persiane siano tutte chiuse. Non ci sono sbarre antintrusione e le imposte sono vecchie e chiudono a fatica. Pensa a quante volte ha chiesto di sistemarle. Getta uno sguardo fuori dalla finestra. Il vento fa rotolare per strada cartacce e foglie cadute dagli alberi, la strada è semideserta. Evita di ripensare alla porta di legno e alle finestre senza sbarre, indossa il camice bianco ed è pronta a cominciare. Tra un po’ arriveranno i “clienti abituali” a farsi misurare pressione e glicemia e poi qualche paziente occasionale. La serata scorre tranquilla, la solita routine. Ha già alle spalle una decina di visite e si è fatta ormai quasi mezzanotte. Da questo momento in poi il campanello della porta squillerà sempre più di rado. Inizia la lunga attesa e la parte peggiore del turno di guardia. Quella dei silenzi profondi nei quali rimbombano anche i rumori più impercettibili. Cominciano le ore dell’ansia e della paura. Marianna addenta una mela mentre sfoglia una rivista scientifica messa da parte per l’occasione. Ha una specializzazione in Pneumologia e, anche se negli Ospedali non assumono ormai da tanti anni, lei si tiene sempre aggiornata nel caso in cui si materializzi il miracolo di un concorso pubblico. Sono le tre del mattino. Ascolta il fruscio del vento, il tremolio della porta e i sussulti delle imposte. Dà un’occhiata alle notizie sul tablet. C’è un’intervista al Ministro della Salute che parla dell’importanza, più attuale che mai, della Festa della Donna, rammentando come in alcuni Paesi alle donne sono preclusi quei diritti civili che da noi sono considerati normali. Marianna avrebbe voglia di chiedere al Ministro se ritenga “normale” il fatto di dover lavorare da sola e col cuore in gola tutta la notte in una Guardia Medica solitaria e fatiscente, in questo avamposto di periferia che neanche sembra di essere in città. Vorrebbe chiedere cosa ci sia di “civile” in tutto questo. Scorre ancora le notizie e legge dell’ennesima collega aggredita, picchiata e rapinata pochi giorni prima in una Guardia Medica di Nicolosi, in provincia di Catania. Si sono presentati in due, giovani, ubriachi e con un’ascia nelle mani. L’hanno costretta a seguirli fino al Bancomat e a prelevare circa quattrocento euro. Poi le hanno rubato l’auto lasciandola da sola per strada. Sono stati arrestati dopo un breve inseguimento dai Carabinieri. Alla fine la collega se l’è cavata con qualche livido e tanta paura. Poteva finire peggio. Marianna sente uno scricchiolio provenire dalla finestra. Sarà il vento. Un brivido corre lungo la sua schiena e fatalmente il pensiero vola a Scicli, quando nel 2010 un’altra malcapitata donna medico fu assalita con un coltello, picchiata selvaggiamente e stuprata. Quella volta non finì bene, una frattura alla tibia e una lacerante ferita dell’anima che difficilmente riuscirà a rimarginare. Marianna rabbrividisce ancora e stringe istintivamente le braccia attorno al corpo in un gesto protettivo. Pensa al sistema di allarme che non c’è, alle telecamere di sorveglianza che mancano, alle sbarre alle finestre inesistenti, al fatto che non ci sono sistemi di sicurezza di alcun genere. Sono passate da poco le quattro del mattino. Tormentata dai fantasmi che la vengono a trovare ogni maledetta notte di guardia, fa letteralmente un balzo sulla sedia, colta di sorpresa dal suono stridulo del citofono. Col ventaccio che tira non ha neppure sentito il rumore dell’auto che si fermava davanti al portone né quello dei passi sul marciapiede. Non sa chi possa esserci dietro quella porta. Si alza lentamente dalla sedia. Si scuote, si dirige all’ingresso ravviandosi i capelli con le mani. Risponde con voce incerta. Poi sospira e schiaccia il pulsante di apertura della porta. Questa volta è andata bene. È una donna di settant’anni con la pressione alta, accompagnata dal figlio che ha la faccia di chi è stato bruscamente strappato al sonno. Somministra alla donna delle gocce e dopo un po’ rimisura la pressione. Sta già scendendo. Il figlio della paziente si è riaddormentato sulla sedia. Ora che è più calma, la Dottoressa Marianna riveste i panni professionali del medico. Chiede alla signora maggiori notizie sulla sua pressione ballerina e le consiglia una serie di esami e di visite, con la pressione alta non si scherza. La donna si è ripresa, però Marianna le suggerisce (dentro di sé la implora) di fermarsi ancora un po’ per precauzione e la tiene “in osservazione” fin quasi alle sei del mattino. Alla fine la donna si alza, ringrazia sorridente, saluta e torna a casa. Anche Marianna ringrazia. Comincia ad albeggiare e arrivano attutiti i suoni della città che, sbadigliando, riprende vita. Le prime corse degli autobus, le prime serrande che si alzano. Marianna riapre una finestra e respira l’aria fresca del mattino, mette la “due tazze” sul fornellino elettrico. L’aroma del caffè che pian piano si spande nell’aria è rassicurante, quasi a voler ribadire che un’altra notte di guardia è passata. Un’altra notte di guardia e di paura.
Dedicato a tutte le “dottoressa Marianna” che ogni notte vegliano sui bisogni di salute dei cittadini, garantendo, in una inaccettabile solitudine, l’indispensabile continuità assistenziale e che meriterebbero maggiore considerazione e ben altre garanzie di sicurezza nello svolgimento della loro impagabile professione.
Giuseppe Bonsignore
Responsabile Comunicazione CIMO Sicilia