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La manovra e i Lea

La manovra e i Lea. Da livelli di assistenza “essenziali” a “estinti”? di Guido Quici (Quotidiano Sanità)

E’ difficile far credere ai cittadini e agli operatori sanitari che gli ulteriori sacrifici non incideranno sulla qualità delle prestazioni e sulle condizioni di lavoro, a meno che non si voglia tagliare i costi della politica regionale. Ma da questo orecchio sono tutti sordi

Quando la politica dichiara che in sanità è necessario salvaguardare i livelli e la qualità dei servizi, che occorre investire e non solo risparmiare, che il finanziamento è sottostimato rispetto al PIL, allora, e solo allora, si ha la certezza che è stato raggiunto l’ennesimo accordo sui tagli al nostro SSN.

Riconosciamo al Ministro Lorenzin il proprio impegno nel rilanciare le vere eccellenze del nostro sistema salute rispetto ai falsi miti, nel chiedere con forza lo sblocco del turnover, nel sostenere che occorre valorizzare i professionisti della salute; peccato, però, che la Sanità non è mai stata presente nell’agenda di Renzi e dei suoi predecessori per cui i “desiderata” del Ministro restano tali e con Lei sono vanificate le aspettative di centinaia di migliaia di operatori sanitari e di milioni di cittadini italiani.

È indubbio che l’irrefrenabile spesa sanitaria è la conseguenza di un federalismo spinto che ha raggiunto oramai un livello patologico, non più contrastabile con provvedimenti “tampone”.  Non dimentichiamo, infatti, che l’autonomia regionale ha espresso ben 521 consiglieri regionali indagati su 1.111 (l’Espresso), che i costi dei Consigli regionali ammontano a circa 1 miliardo di euro/anno (Prof. Roberto Perotti), che la spesa media di ciascun consigliere regionale è di 743.000 euro (il Sole24 ore) ma, soprattutto, che il bilancio regionale è in gran parte finanziato dalla sanità per cui ogni intervento di contenimento della spesa non potrà che riguardare la sanità stessa con inevitabili ripercussioni sui livelli di assistenza. Ed, allora, è difficile far credere ai cittadini e agli operatori sanitari che gli ulteriori sacrifici non incideranno sulla qualità delle prestazioni e sulle condizioni di lavoro, a meno che non si voglia tagliare i costi della politica regionale.

Diventa, quindi, provocatoria ogni dichiarazione finalizzata a distogliere l’attenzione dal vero problema che è quello del “cannibalismo federale”, ad iniziare da chi chiede di devolvere la retribuzione di risultato dei dirigenti pubblici per pagare i farmaci agli anziani, a chi immagina che le prestazioni sanitarie inappropriate debbano essere oggetto di denuncia alla Corte dei Conti, fino a chi studia il sistema di tagliare 1.000 “primariati” per contenere alcuni costi che manterranno in vita le spese regionali extra.

Non è la difesa, a tutti i costi, dei 1.000 direttori di unità complesse ed, a cascata, dei 1.300 responsabili di strutture semplici ma è l’evidenza del taglio di oltre 2.000 linee produttive clinico-assistenziali. Tanto determina una ulteriore riduzione dell’offerta sanitaria con aumento dei tempi di attesa in un contesto in cui circa sono 9 milioni gli italiani indigenti dichiarano di non poter curarsi e oltre il 22% dei cittadini che pagano le prestazioni in proprio; in sintesi circa il 37% della popolazione italiana, per un verso o per l’altro, non ha più tutele assistenziali.

Non ci meravigliamo, quindi, quando i Pronto Soccorso sono presi d’assalto, quando in inverno le barelle intasano le corsie degli ospedali, quando occorre aspettare mesi per un intervento chirurgico importante, quando l’esasperazione dei medici e del personale sanitario ma, soprattutto, dei cittadini raggiunge limiti imprevedibili.

A riprova di ciò l’assenza di accordi tra Stato e Regioni relativamente a possibili tagli di strutture amministrative e l’ampliamento delle strutture gestionali non mediche.

Ed allora diventa marginale anche l’articolo 22 del Patto della Salute che vorrebbe valorizzare i professionisti della salute perché appare del tutto evidente l’impossibilità di implementare un vero sviluppo di carriera a meno che non sia a titolo gratuito sia per i medici che per gli infermieri; tuttavia la vera fonte di preoccupazione è, oggi, legata all’eccessivo aumento delle responsabilità per quei medici che, in un contesto di aggregazione per macroaree, si troveranno a dover operare tra più presidi distanti anche decine di chilometri tra loro.

Il Titolo V della Costituzione, così come oggi concepito, è il vero problema della sanità italiana, occorre che il Ministero della Salute acquisisca nuovamente il ruolo di garante dei Livelli Uniformi di Assistenza (LEU), acronimo introdotto dal DLvo 502/92 e scomparso da tempo, ed impedisca che gli attuali LEA, ovvero i Livelli Essenziali di Assistenza si traducono in Livelli Estinti di Assistenza.

Guido Quici
Vice Presidente Vicario CIMO