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Colpa medica. E se introducessimo il sistema “no blame”? (Quotidiano Sanità)

Addita, incolpa, umilia. Questo è il modo vigente in Italia di affrontare il problema della colpa medica. Ma è una politica suicida. Con il sistema no blamesi superano le logiche di conflittualità, si garantisce la terzietà tra danneggiato e danneggiante, si capitalizzano le informazioni raccolte per migliorare la sicurezza

Gentile direttore,
quando si parla di provvedimenti legislativi riguardanti la colpa medica bisogna avere ben presenti quali sono gli obiettivi che si dovrebbero raggiungere. Il primo è garantire ai cittadini che subiscono un danno un risarcimento equo in tempi rapidi. Il secondo è migliorare la sicurezza delle cure. Il terzo è consentire ai professionisti di lavorare in un clima sereno che è un prerequisito per raggiungere il secondo obiettivo.

Name, blame, shame; addita, incolpa, umilia. Questo è tuttora il modo vigente in Italia di affrontare il problema della colpa medica. In realtà questo tipo di approccio non ha più alcun senso e non raggiunge nessuno degli scopi che si dovrebbe prefiggere. Non garantisce una maggiore sicurezza delle cure per il paziente e non è più sostenibile economicamente per il sistema. E’ semplicemente una politica suicida quella che continua a non vedere i danni che si stanno producendo. Lo sanno i nostri politici che i costi della medicina difensiva sono ormai fuori controllo e destinati ad aumentare ( costo attuale stimato 14 miliardi di euro); lo sanno che i medici sono stressati e non affrontano più serenamente il proprio lavoro; lo sanno che i costi assicurativi stanno aumentando rapidamente; lo sanno che questo stato di cose è destinato a creare ancora più insicurezza e errori?

Uno studio condotto dal National Quality Forum negli Stati Uniti ha evidenziato quali sono le barriere culturali che impediscono un miglioramento della sicurezza delle cure:
•    il perpetuarsi del mito che un bravo professionista operi sempre perfettamente e che gli eventi avversi siano sempre causati da trascuratezza, negligenza ed incompetenza
•    ignorare che le preoccupazioni concernenti le cause legali per malpractice impediscono la comunicazione riguardante i problemi legati alla sicurezza e la condivisione dei dati sugli eventi avversi attuali e potenziali
•    la mancata conoscenza della prevalenza degli eventi avversi
•    la negazione della gravità del problema anche quando chiaramente evidenziato dai dati raccolti
•    la mancanza di un sistema efficace di raccolta dei dati
•    l’ignorare che gli eventi avversi hanno spesso una causa sistemica
•    la mancanza di una chiara leadership in ambito di sicurezza delle cure

Che fare dunque per cercare di porre rimedio a questa situazione? Facciamo quello che già altri stati europei hanno fatto e che è contenuto nelle conclusioni di un altro studio questa volta condotto dalla European Hospital and Healthcare Federation:
•    creare compagnie assicurative di tipo mutualistico possedute dagli ospedali o dagli enti pubblici
•    porre un tetto alle richieste di risarcimento
•    ridurre i termini di prescrizione
•    adottare un sistema no blame
•    promuovere la prevenzione del rischio e la sicurezza del paziente

Perché le compagnie assicurative private escono dal mercato? Le cause  principali sono l’andamento ciclico delle strategie generali dei mercati assicurativi,  l’impossibilità di prevedere con buona approssimazione il numero di eventi avversi ed il costo dei  risarcimenti, la necessità di dotarsi di  riserve economiche notevoli anche in considerazione dei lunghi termini di prescrizione e della durata delle cause civili, la variabilità nell’interpretazione del danno e del nesso causale a livello giurisprudenziale, la riduzione dei  profitti derivanti dagli investimenti finanziari a causa della volatilità dei mercati dove sono impegnate le riserve.

Come affrontare questo problema?

Compagnie assicurative di tipo mutualistico esistono ad esempio in Francia (SHAM), nei Paesi Bassi (MediRisk), in Svezia (Regions Medical Injuries Insurance), in Finlandia (The Patient Insurance Pool), in Galles (The Welsh Risk Pool). I vantaggi sono legati alla natura non-profit che limita i costi al risarcimento del paziente ed alle spese amministrative di gestione della pratica. Nei Paesi Scandinavi i costi amministrativi per le gestione delle richieste di risarcimento sono in media di 700 euro a fronte dei 15.000 per ogni parte coinvolta nei paesi che ricorrono ai giudizi nelle aule di giustizia. Inoltre questo tipo di assicurazione consente di dividere il rischio tra tutti gli ospedali.

In alcuni paesi la legislazione pone un tetto al massimo risarcimento erogabile, fino ad arrivare agli 800.000 Euro che in Svezia la legislazione vigente stabilisce. In altri paesi vi è un limite al di sotto del quale non vengono accettate richieste di risarcimento con conseguente riduzione dei contenziosi. Si va ad esempio dai 300 Euro della Spagna ai 1.100 della Danimarca.

Negli Stati Uniti i termini di prescrizione sono a 3 anni ed in molti paesi sono notevolmente inferiori ai nostri.

Il sistema no blame può essere sinteticamente descritto come un sistema in cui sia il medico che il paziente non sono costretti  ad andare in tribunale. Il medico non sostiene rischi legali od economici ed il paziente non deve assumere un legale e sostenere le spese ed i rischi di una causa. Nella nostra realtà una proposta significativa è già stata formulata da Giovanni Comandè in un articolo apparso nel 2010 sulla rivista Danno e Responsabilità. Si prospetta l’ipotesi di un sistema no blame regionale. Lo scopo è quello di superare logiche di conflittualità, garantire la terzietà tra danneggiato e danneggiante e capitalizzare tutte le informazioni raccolte per migliorare la sicurezza.

Da notare che un sistema come questo consentirebbe di ridurre drasticamente la durata del contenzioso con benefici per tutti.

Come finanziare un sistema come questo in Italia? La risposta è nei dati messi a disposizione dall’Agenas nel 2013. I sinistri denunciati nel 2012  sono stati 12.000 su 10 milioni di ricoveri ed 1 miliardo di prestazioni specialistiche. I premi pagati ammontano ad 1 miliardo di euro includendo le strutture ed i professionisti. La media delle liquidazioni è  inferiore ai 50.000 euro. L’85% dei sinistri è stato liquidato per gestione diretta o franchigia. Il costo della medicina difensiva è stimato tra i 10 e 1 14 miliardi di euro. Appare quindi evidente che con una riduzione di quest’ultimo costo del 10% circa si libererebbero le risorse necessarie a coprire tutti i rischi ed i risarcimenti. Io credo che una riduzione dei costi della medicina difensiva anche molto più significativa del 10% necessario ad avviare un sistema di copertura assicurativa globale delle strutture e dei professionisti sia un obiettivo relativamente facile da raggiungere se il medico si sentisse garantito e potesse così ridurre le richieste di esami inutili o addirittura dannosi.

Nella prevenzione del rischio vi sono oramai esperienze consolidate che dimostrano che solo un sistema che garantisca l’anonimato consente di denunciare gli eventi avversi e, cosa ancora più importante, i cosiddetti near miss cioè situazioni di grave rischio che solo per un caso fortunato non hanno prodotto danni. E’ del tutto evidente che più la raccolta di dati sugli incidenti è completa, più si può lavorare al miglioramento della sicurezza. Non dimentichiamoci che quasi sempre il lavoro clinico è un lavoro di equipe e che i danni sono nella maggior parte dei casi provocati da falle nell’organizzazione, nella routine e nelle procedure più che dall’operato del singolo professionista. Ma un sistema come questo non può essere pienamente implementato se poi i dati raccolti sono usati come è già accaduto per intentare cause civili e penali contro il medico che li ha resi noti.

Non essendo un giurista sono certo che molti problemi potranno essere sollevati a riguardo dei vari punti esposti in questo articolo. Qualcuno dirà che porre un tetto ai risarcimenti è incostituzionale, altri diranno che le Regioni non possono legiferare  in materia di danno e risarcimento, altri ancora troveranno  sicuramente incongruenze ed ingenuità. Quello che so è che però se altri stati europei hanno affrontato questo enorme problema non si vede perché come al solito l’Italia deve arrivare buona ultima. So anche che garantire un sistema universalistico è importante ma costoso e che quindi il patto tra cittadini deve anche comprendere qualche forma di mutualizzazione del rischio. Alla fine molti si chiederanno che cosa succede al medico che sbaglia per negligenza inescusabile. Ritengo che in base alla gravità dell’errore si possa andare dalla censura fino alla sospensione del rapporto di lavoro per periodi più o meno lunghi ed all’obbligo di sostenere corsi di riqualificazione non solo tecnico-scientifica ma anche di gestione del rapporto medico paziente il cui venir meno è una causa importante nel determinare il contenzioso. In quest’ambito va rivalutato il ruolo degli Ordini Professionali ed anche dei Sindacati che si devono battere perché questo problema trovi una soluzione la più soddisfacente possibile per tutti gli attori interessati.

Sergio Barbieri
Vicepresidente Nazionale CIMO ASMD