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Bernini chiede di aumentare i posti. CIMO-FESMED: «Così si crea un esercito di medici disoccupati»
Tra il 2025 ed il 2040 il rapporto tra iscritti e pensionati passerà da 1,5 a 4,9: tra 15 anni potremmo avere 220mila medici senza lavoro o scappati all’estero
Roma, 23 giugno 2025 – Il Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini continua a illudere i ragazzi che sognano di diventare medici. Dopo aver parlato di abolizione del numero chiuso, quando in realtà la riforma dell’accesso a Medicina rinvia di solo qualche mese la selezione all’ingresso, causando esclusivamente enormi difficoltà organizzative agli atenei che non sanno come ricevere decine di migliaia di studenti, adesso propone di aumentare di altre 3.000 unità i posti disponibili a Medicina, condannando migliaia di giovani medici al rischio di rimanere disoccupati.
Se, infatti, le università riterranno sufficiente lo stanziamento di 50 milioni per poter garantire uno standard formativo adeguato, gli immatricolati a Medicina nell’anno accademico 2025-2026 saranno poco meno di 24mila. Considerato che al termine dei sei anni di studi in Medicina si laurea mediamente il 94% degli iscritti, secondo i calcoli del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED, nel 2031 avremo almeno 22.435 nuovi medici; camici bianchi che tuttavia non inizieranno immediatamente a lavorare, ma dovranno frequentare anche la scuola di specializzazione che dura, a seconda dell’indirizzo scelto, tra i 3 e i 6 anni. L’ingresso nel Servizio sanitario nazionale di chi inizia a studiare Medicina a settembre è previsto quindi tra il 2034 ed il 2037.
L’aumento dei laureati in Medicina, tuttavia, è in evidente contrasto con la progressiva riduzione di medici che andranno in pensione nei prossimi anni: se infatti nel 2025 i pensionati saranno 14.918, nel 2031, per effetto dell’esaurimento della gobba pensionistica, scenderanno a 8.674, per ridursi a 4.864 nel 2040. Tra il 2025 ed il 2040, dunque, qualora il numero di posti disponibili a Medicina non dovesse diminuire, il rapporto tra iscritti e pensionati passerà da 1,5 a 4,9: tra 15 anni, per ogni medico che andrà in pensione, ci saranno quasi 5 ragazzi che inizieranno a studiare Medicina.
In altre parole, nel 2034, considerando la differenza tra chi entra e chi esce, in Italia ci saranno 15.246 medici in più. E nel periodo tra il 2025 ed il 2040, sommando la differenza annuale tra neolaureati e pensionati, si potrebbero superare i 220mila medici in più. Un numero evidentemente eccessivo rispetto al fabbisogno, che rischia di aprire le porte ad una nuova fase di pletora medica cui conseguiranno contratti al ribasso, aumento dell’offerta sanitaria privata e fuga di giovani medici verso l’estero, dopo che l’Italia ha speso più di 150mila euro per formare ciascuno di loro.
«Negli ultimi anni – commenta Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED - siamo passati dalla pletora medica, all’imbuto formativo, alla carenza di specialisti e ora rischiamo di ricominciare il giro con una nuova pletora: non è possibile che il Ministero dell’Università ed il Ministero della Salute non riescano a definire in modo corretto il fabbisogno di medici per i prossimi anni, e che il numero di posti a Medicina venga deciso esclusivamente a fini propagandistici ed elettorali. A rimetterci alla fine sono sempre i medici e le loro famiglie».

CIMO-FESMED: «Ora avviare trattative per CCNL medici o proclameremo stato di agitazione»
Il sindacato dei medici: «Non ci sono più alibi, chiudere rapidamente il CCNL 2022-2024 e aprire subito il tavolo per il triennio 2025-2027»
Roma, 19 giugno 2025 – «Ora che il comparto sanità ha firmato la pre-intesa del CCNL, non ci sono più alibi: le Regioni emanino subito l’atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il contratto dei medici e dei dirigenti sanitari e si apra il tavolo in Aran. In assenza di risposte immediate, saremmo costretti a proclamare lo stato di agitazione dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale. E non vorremmo causare ulteriori criticità ad ospedali in affanno a causa delle ferie estive che aggravano la già critica carenza di personale» dichiara Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (a cui aderiscono le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED).
«Ricordiamo – aggiunge Quici – che parliamo del CCNL 2022-2024, quindi ampiamente scaduto, i cui aumenti sono stati in buona parte già erogati tramite l’indennità di vacanza contrattuale e assorbiti dagli aumenti delle aliquote IRPEF regionali. Di fatto, i medici in tasca avranno veramente pochi spicci in più. Crediamo quindi che sia necessario, al fine di dare un vero riconoscimento ai colleghi, chiudere rapidamente le trattative per la sola parte economica del CCNL 2022-2024 e aprire subito dopo il tavolo per il contratto 2025-2027, per il quale il Governo ha già stanziato le risorse».
«È questa l’unica strada per frenare la fuga di personale dagli ospedali e spingere i giovani a lavorare nel Servizio sanitario nazionale. Anche perché, e va sottolineato, il personale sanitario è stato incredibilmente escluso dai benefici previsti per il personale della Pubblica Amministrazione nel Decreto PA. Ricordiamo al Ministro Zangrillo che, nostro malgrado, anche i medici fanno parte della Pubblica Amministrazione. Se non possono nemmeno usufruire degli stessi vantaggi riconosciuti alle altre categorie, accolga la richiesta che avanziamo da anni e faccia uscire i sanitari dalla funzione pubblica per firmare il contratto direttamente con il Ministero della Salute e le Regioni» conclude Quici.
Quici (CIMO-FESMED): «Difficile sostituirli se non si migliorano condizioni di lavoro e stipendi»
Il Presidente del sindacato dei medici: «I gettonisti non vogliono essere assunti, per i dipendenti i Pronto soccorso sono gironi infernali»
Roma, 17 giugno 2025 - «Se non si migliorano le condizioni di lavoro e non si adeguano gli stipendi, sarà molto difficile trovare medici disponibili ad andare a lavorare in Pronto soccorso per colmare i vuoti lasciati dai gettonisti» afferma Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED, commentando le dichiarazioni rilasciate questa mattina dal Ministro Schillaci in merito alla scadenza dell'uso dei medici gettonisti da parte di Asl e ospedali.
«Per il Ministro i medici devono essere assunti e lavorare a tempo pieno per la sanità pubblica, usando per le assunzioni quanto viene speso per i gettonisti – continua Quici -. Non possiamo che essere d’accordo: sono anni che chiediamo di spostare dalla voce di bilancio “beni e servizi” alla voce “personale” quanto speso per i gettonisti; ma forse dovrebbe essere il Ministro dell’Economia Giorgetti ad acconsentire a tale cambiamento. In ogni caso, le aziende non vogliono assumere perché un medico dipendente sarà a carico del SSN almeno per trenta anni, mentre un gettonista costa di più nell’immediato ma può essere mandato via quando si vuole, considerato che nei prossimi anni ci sarà un numero maggiore di specialisti rispetto ai pensionati, e quindi sarà più semplice trovare professionisti a costi inferiori».
«E oltre al problema economico – sottolinea il Presidente CIMO-FESMED -, oggi dobbiamo fare i conti con l’indisponibilità di medici che vogliano lavorare nei Pronto soccorso. “Se tanti giovani scelgono di fare i gettonisti sono convinto che rientrerebbero nel SSN”, dice Schillaci. Peccato che non sia così: i gettonisti, oltre a guadagnare molto di più di un dipendente, scelgono le strutture in cui lavorare, quanti turni coprire, non rischiano denunce e possono prendersi il lusso di andare in ferie, se vogliono. I medici dipendenti che lavorano in Pronto soccorso invece sono malpagati, non hanno prospettive di carriera, hanno mani e piedi legati da vincoli burocratici inaccettabili, subiscono continuamente aggressioni e lavorano in un clima tossico che li porta a rassegnare le dimissioni e a voler cambiare vita. I Pronto soccorso oggi per i dipendenti sono gironi infernali: se non si risolvono a monte queste condizioni, non ci saranno più medici disponibili a lavorarci. Per questo chiediamo a gran voce l’emanazione dell’atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il rinnovo del contratto collettivo nazionale e investimenti seri per migliorare le condizioni di lavoro del personale».
CIMO-FESMED: «Per valorizzare le professioni sanitarie occorrono maggiori risorse. No a ulteriori sacrifici dei medici»
Nella bozza di documento proposto dalla Conferenza delle Regioni ai sindacati della dirigenza e del comparto sanitari sanciti principi che potrebbero trasformarsi in boomerang per fondi e carriere dei medici
Roma, 13 giugno 2025 – È continuato questa mattina il confronto tra la Conferenza delle Regioni e i sindacati della dirigenza medica e del comparto sanitario volto ad individuare le misure necessarie a valorizzare il personale del Servizio sanitario nazionale. Le azioni proposte dalla Conferenza delle Regioni nella bozza di documento vanno dall’adeguamento dei salari ai percorsi di carriera, dall’esigibilità dei contratti al welfare: misure ritenute senz’altro condivisibili dalla Federazione CIMO-FESMED, ma solo ed esclusivamente se supportate da un adeguato finanziamento statale. In caso contrario, il documento sancirebbe dei principi destinati a rimanere lettera morta o a trasformarsi in un boomerang per i medici.
Poiché infatti è altamente improbabile che in questo particolare momento storico il Governo riesca ad aumentare le risorse destinate alla sanità, le Regioni propongono di superare l’impasse sbloccando il tetto al salario accessorio, che consentirebbe loro di stanziare maggiori risorse per il personale: «Dovremmo tuttavia trovare il modo di scongiurare il rischio di un’eccessiva regionalizzazione contrattuale - commenta Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED –. Potremmo infatti trovarci dinanzi a importanti differenze sul territorio nazionale, con le Regioni più ricche pronte ad investire milioni di euro per offrire migliori condizioni economiche e attrarre professionisti, e le Regioni più in difficoltà dinanzi a un bivio: o consentire al proprio Servizio sanitario regionale di perdere ulteriormente medici e professionisti sanitari, oppure attingere ai fondi contrattuali dei medici per finanziare i principi previsti dal documento».
Tra questi, ad esempio, compare “la piena equiparazione dei dirigenti medici, sanitari e delle professioni sanitarie”, considerato che attualmente per questi ultimi sono previste alcune voci retributive inferiori rispetto al resto della dirigenza. In assenza di risorse aggiuntive, il finanziamento di tale equiparazione potrebbe verosimilmente avvenire attraverso un prelievo forzato dai fondi dei medici. «Un’eventualità inaccettabile – dichiara Quici - poiché non possono essere sempre i medici a rinunciare ai loro soldi per finanziare le pur legittime aspirazioni di altre professioni».
Similmente, la Conferenza delle Regioni propone di incentivare l’adozione di percorsi di carriera per tutti i dirigenti, ma poiché le stesse Regioni hanno imposto un tetto al numero di unità complesse e semplici, oggi affidare una direzione di struttura ad un dirigente non medico significherebbe togliere un posto ad un medico. «Se si vuole davvero incentivare la carriera dei dirigenti occorre dunque eliminare gli attuali limiti», aggiunge Quici.
Si torna poi a parlare di “revisione e semplificazione dei profili professionali” introducendo “modelli organizzativi più flessibili e orientati al lavoro multidisciplinare”: «Rischiamo seriamente di passare dal task shifting al task sharing, senza prevedere una formazione adeguata di tutti i professionisti coinvolti e, soprattutto, senza modificare i profili della responsabilità sanitaria, che allo stato attuale colpisce pressoché esclusivamente i medici – prosegue Quici -. Occorre invece definire in modo chiaro le competenze di ciascuna professione e affidare in modo esplicito ed esclusivo l’atto medico (dunque diagnosi, prognosi e terapia) al medico. L’anarchia delle competenze può mettere a rischio la sicurezza delle cure».
«Sono poi senz’altro apprezzabili – aggiunge – le proposte in tema di esigibilità dei contratti, ma la nostra precisa richiesta è l’emanazione dell’atto di indirizzo del CCNL 2022-2024, che non può essere vincolata alla condivisione del documento in discussione. Concordiamo sulla necessità di regolamentare l’affidamento della direzione delle strutture apicali agli universitari, che oggi penalizzano i medici ospedalieri, e rilanciamo la necessità di valorizzare economicamente il ruolo di tutoraggio degli specializzandi svolto dal personale dipendente del SSN. Infine condividiamo l’intenzione di stigmatizzare nel documento la grave situazione del personale dipendente della sanità privata accreditata, senza contratto da anni e vittima di dumping salariale».
«Ci auguriamo – conclude Quici – che i prossimi confronti con la Conferenza delle Regioni possano essere altrettanto proficui come quello odierno, e che nel testo siano apportate le modifiche necessarie a scampare i pericoli da noi denunciati».
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