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IN EVIDENZA
CIMO-FESMED: «Convincere medici e infermieri a non trasferirsi all’estero»
Obiettivo del tavolo è trovare una strategia condivisa volta a rendere sostenibile il Servizio Sanitario Nazionale e a valorizzarne i professionisti: maggiori risorse e sblocco tetto di spesa le priorità
Roma, 4 giugno 2025 - Si è aperto questa mattina il tavolo di confronto tra Conferenza delle Regioni e sindacati dei dirigenti medici e del comparto per trovare una strategia condivisa volta a rendere sostenibile il Servizio Sanitario Nazionale e a valorizzarne i professionisti. «Si tratta di un’iniziativa molto importante, per la quale ringraziamo le Regioni, che ci consente di avere una voce in capitolo in tema di riforma del SSN e delle professioni sanitarie» dichiarano Guido Quici, Presidente nazionale della Federazione CIMO-FESMED, e Cristina Cenci, Presidente CIMO-FESMED Umbria, che ha partecipato all’incontro.
I sindacati sono stati convocati per discutere del documento di analisi e proposte in tema di personale del SSN redatto dalla Conferenza delle Regioni e che CIMO-FESMED ha già avuto modo di commentare: «Abbiamo ribadito la necessità di trovare maggiori risorse per la sanità pubblica e di sbloccare il tetto alla spesa per il personale sanitario, obiettivi ampiamente condivisi anche dalle Regioni – dichiara Cenci -. Quindi, in tema di relazioni tra professioni sanitarie, abbiamo evidenziato la necessità di definire l’atto medico ed il campo d’azione di ciascun professionista, senza invasioni di campo che potrebbero mettere a repentaglio la qualità e la sicurezza delle cure. Infine, invece di incentivare l’arrivo in Italia di medici e infermieri stranieri, abbiamo chiesto a gran voce di creare le condizioni per far rimanere in Italia i giovani colleghi pronti a scappare all’estero, dove il loro ruolo viene maggiormente valorizzato. Un obiettivo raggiungibile migliorando le condizioni di lavoro e le retribuzioni: a tal fine, abbiamo chiesto l’immediata emanazione dell’atto di indirizzo e di riunire in un’unica tornata contrattuale i CCNL 2022-2024 e 2025-2027».
«Siamo certi – conclude Cenci - che i prossimi incontri saranno altrettanto costruttivi per migliorare il nostro lavoro e la nostra sanità».
Medici, carriera ospedalieri scippata da universitari. ANAAO, CIMO-FESMED e ACOI: «Ministero Salute e Regioni fermino questa vergogna»
Sempre più primari nominati dalle Università tagliano le prospettive di carriera ai medici ospedalieri
Roma, 26 maggio 2025 – Le Università stanno occupando gli ospedali. E i medici universitari stanno tagliando drasticamente le prospettive di carriera dei medici ospedalieri. La cosiddetta “clinicizzazione” delle strutture sanitarie è in costante espansione, andando ben al di là delle necessità dettate dalla didattica e dalla ricerca e rappresentando sempre più una mera occupazione di spazi e di potere e una minaccia per gli ospedalieri. Un fenomeno insopportabile davanti al quale i sindacati ANAAO ASSOMED e CIMO-FESMED e la società scientifica ACOI (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani) non possono più rimanere in silenzio.
Si assiste infatti frequentemente all’ampliamento, sulla base di accordi siglati da Atenei e Regioni, delle attività didattiche in reparti o intere strutture assistenziali che in molti casi non hanno nemmeno i numeri o la casistica necessari a giustificare la presenza dell’Università; la direzione di tali unità operative viene quindi affidata a professori universitari nominati dal Rettore – e che quindi non devono superare un concorso come invece richiesto agli ospedalieri che ambiscono a diventare direttori di struttura - nonostante il personale medico sia prevalentemente, se non esclusivamente, ospedaliero. All’improvviso, dunque, gli ospedalieri si ritrovano non solo senza alcuno sbocco di carriera, ma devono anche farsi carico della responsabilità di occuparsi della formazione pratica dei medici specializzandi affidati a quel determinato reparto. Senza percepire alcun compenso aggiuntivo, ovviamente.
ANAAO ASSOMED, CIMO-FESMED e ACOI chiedono dunque al Ministero della Salute e alla Conferenza delle Regioni di intervenire urgentemente per porre fine a un espansionismo senza controllo che calpesta i diritti dei medici ospedalieri.
«Ci rifiutiamo di condannare i medici ospedalieri a cedere spazi e competenze all’Università - dichiara Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale ANAAO ASSOMED – e relegarli nella riserva di un SSN povero e per i poveri, lasciando ad altri il ‘lusso’ della formazione, della didattica e dell’assistenza nei settori ad alta specializzazione. È necessario un intervento deciso per rendere i rapporti Università-SSN meno conflittuali e più rispettosi dei reciproci fini istituzionali. Anche per costruire il livello di integrazione necessario a superare il vissuto da “separati in casa” che caratterizza la situazione attuale».
«In un momento di particolare crisi dei medici ospedalieri, costretti a lavorare in condizioni inaccettabili per far fronte alle gravi carenze di personale, è intollerabile aggiungere ulteriori cause di demotivazione, che spingeranno sempre più colleghi ad allontanarsi dal SSN - dichiara Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED -. Occorre definire in modo chiaro e trasparente la dotazione strutturale e l’organizzazione necessarie alla didattica e alla ricerca, al fine di evitare di disperdere in mille rivoli risorse fondamentali e di creare una reale collaborazione tra Università e ospedali nel rispetto delle funzioni e dei ruoli di ciascuno, dando vita agli ospedali di insegnamento per garantire una formazione di qualità ai medici specializzandi».
«La nostra professione, come sanno anche i più distratti, è assolutamente delicata – aggiunge Vincenzo Bottino, Presidente ACOI -: vive quotidianamente, e a vita, tra formazione permanente e azioni sul campo. Elementi come la professionalità, la capacità di gestire il team, il supporto agli specializzandi, il rapporto con i pazienti fino alla direzione delle unità operative dovrebbe premiare - o quantomeno mettere in condizione di partecipare - anche le figure professionali che conoscono bene le dinamiche delle sale operatorie e che sono supportate da percorsi accademici e formativi di livello. Il nostro lavoro, sempre per i più distratti, è quello di salvare la vita delle persone: per farlo, serve una straordinaria conoscenza teorica ma anche una necessaria capacità operativa. Decidere di premiare solo una di queste due competenze - oggi evidentemente la prima - significa mettere a rischio la vita dei nostri pazienti. Forse è bene ricordarlo a tutti, anche ai più distratti che hanno potere decisionale».
Cuzzilla confermato Presidente. Quici: «Salvare il ceto medio»
Roma, 22 maggio 2025 – Si sono svolte questa mattina le elezioni delle cariche direttive di CIDA, la Confederazione italiana dei dirigenti ed alte professionalità, cui aderisce la Federazione CIMO-FESMED. Stefano Cuzzilla è stato confermato Presidente, e sarà affiancato dai Vicepresidenti Guido Quici (Presidente CIMO-FESMED), Marco Ballaré (Presidente Manageritalia) e Antonello Giannelli (Presidente ANP).
«In questi anni CIDA ha acquisito una rilevanza importante sul piano politico, che ci consente di essere presenti a tutti i tavoli istituzionali – commenta Guido Quici -. Riunendo in un unico network 10 Federazioni che rappresentano, attraverso i CCNL sottoscritti, circa 1 milione di dirigenti, CIDA è diventata un punto di riferimento fondamentale per la dirigenza pubblica e privata, in grado di presentare proposte e soluzioni concrete su tutti i dossier in discussione». CIDA infatti rappresenta unitariamente i dirigenti del settore industriale, del commercio e del terziario, dell’area sanità, della funzione pubblica, della Banca d’Italia, delle assicurazioni, dell’Università e della Consob.
«Ora dovremo continuare a lavorare per rafforzare il ceto medio, il pilastro che sostiene l’Italia, ingiustamente ignorato dalle politiche degli ultimi anni. Salvare il ceto medio significa valorizzare quella classe dirigente che ogni giorno rende il Paese competitivo in tutti i settori strategici», conclude Quici.
IL PARADOSSO DEL CETO MEDIO: TROPPO RICCO PER IL FISCO, TROPPO POVERO PER IL FUTURO
Il nuovo rapporto CIDA-Censis svela il volto invisibile di chi regge il Paese: 1 su 2 teme il declassamento sociale, il 45% ha già tagliato i consumi, quasi 8 su 10 ritiene che il welfare pubblico non risponda ai reali bisogni e oltre il 50% immagina per i figli un futuro all’estero.
Stefano Cuzzilla, riconfermato in mattinata Presidente CIDA, propone un patto per il rilancio del ceto medio: “È il momento di ricucire il Paese: servono meno tasse sul lavoro, più equità nel welfare e una nuova centralità del merito. Senza il ceto medio, l’Italia perde crescita, coesione e democrazia economica”
Roma, 22 maggio 2025 – Due italiani su tre si sentono ceto medio, ma più della metà teme che i propri figli staranno peggio. Più di otto su dieci non vedono riconosciuto il valore delle proprie competenze nel reddito. E oltre il 70% chiede meno tasse sui redditi lordi.
È il ritratto nitido e inquieto del ceto medio italiano che emerge dal 2° rapporto CIDA-Censis “Rilanciare l'Italia dal ceto medio. Riconoscere competenze e merito, ripensare fisco e welfare”, commissionato da CIDA, la Confederazione Italiana dei Dirigenti e delle Alte Professionalità, e presentato oggi durante un convegno tenutosi alla Camera dei Deputati, aperto con i saluti istituzionali del Vicepresidente di Forza Italia alla Camera dei deputati, Raffaele Nevi e gli interventi del Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani e del Viceministro dell'economia e delle finanze, Maurizio Leo. Hanno portato i loro autorevoli contributi Gabriele Fava, Presidente Inps, Renato Loiero, Consigliere del Presidente del Consiglio, e gli Onorevoli Elena Bonetti, Luigi Marattin e Annarita Patriarca.
“Il Rapporto fotografa una frattura profonda: il ceto medio è il Punto di Tenuta del Paese, ma oggi vive un paradosso insostenibile. È troppo ricco per ricevere aiuti, troppo povero per costruire futuro. Colpito dal fisco, escluso dal welfare, ignorato nei riconoscimenti. Eppure, resiste: investe nei figli, tiene in piedi famiglie e territori con una generosità silenziosa. Ma quanto può sopportare ancora? E soprattutto, possiamo permetterci di non ascoltarlo? Se non si restituisce dignità economica a chi ogni giorno regge l’Italia, il rischio è uno solo: spezzare definitivamente il patto sociale su cui si fonda la nostra democrazia”.
È il grido d’allarme – e insieme la richiesta di una scelta politica netta – che arriva da Stefano Cuzzilla, riconfermato oggi alla guida di CIDA dall’Assemblea Nazionale, che ha eletto anche i Vicepresidenti Marco Ballarè, Antonello Giannelli e Guido Quici.
Un capitale culturale forte, ma senza ritorno economico - È questa la contraddizione centrale che emerge dal nuovo rapporto CIDA-Censis: il ceto medio italiano non si definisce attraverso il reddito, ma attraverso l’identità culturale. Il 66% degli italiani si riconosce nel ceto medio, e per oltre il 90% ciò che conta davvero è il sapere, il livello di istruzione, le competenze acquisite. Ma questi valori – pur costituendo il fondamento identitario – non trovano più riscontro nella realtà economica. L’82% degli italiani che si autodefinisce di ceto medio denuncia che il merito non viene riconosciuto, che il capitale culturale non si traduce in una giusta retribuzione. È qui che si apre una frattura decisiva: tra capitale umano e capitale economico. E quando il riconoscimento non arriva, il motore si spegne: ciò che era spinta verso l’alto diventa semplice sopravvivenza.
Una stagnazione che diventa galleggiamento - Negli ultimi anni, oltre la metà degli italiani che rappresentano l’ossatura sociale del Paese ha visto il proprio reddito fermo, mentre più di uno su quattro lo ha visto calare. Solo il 20% dichiara un miglioramento. Ma più che arretrare, il ceto medio oggi galleggia senza prospettiva. Anche i consumi riflettono questo stato: il 45% li ha già ridotti, e la maggioranza teme ulteriori tagli nel prossimo futuro. Non è solo una condizione economica, è un malessere sociale diffuso che svuota di speranza il futuro. Un futuro che, sempre più spesso, il ceto medio non riesce più a immaginare dentro i confini del Paese.
Prevale il timore di un declino generazionale - Il 50% dei genitori appartenenti al cuore produttivo del Paese ritiene che i figli staranno economicamente peggio, e il 51% auspica che cerchino opportunità all’estero, segnando il sorpasso definitivo del “mito dell’altrove” sul sogno di mobilità sociale interna. Nonostante ciò, il ceto medio continua a investire: il 67% delle famiglie di ceto medio con figli conviventi sostiene spese straordinarie per garantire un futuro ai figli, mentre oltre il 41% aiuta economicamente figli e nipoti, confermandosi come primo ammortizzatore sociale del Paese.
Tra i pensionati della fascia di riferimento del rapporto, il 47% aiuta regolarmente figli o nipoti, e il 66% ha finanziato o finanzierà almeno una spesa straordinaria. Questa “generosità silenziosa” è sempre più sotto pressione. Solo il 52% si sente protetto da reti di welfare; gli altri oscillano tra ansia, incertezza e vera e propria insicurezza. E il risparmio, da sempre uno dei tratti distintivi del ceto medio, si erode: il 46% ha ridotto la capacità di accantonare risorse, e il 44% prevede un peggioramento nei prossimi tre anni. Quando la fiducia nel futuro si incrina, cresce il bisogno di protezione: ma è proprio qui che il sistema mostra le sue crepe più profonde.
Il welfare pubblico non basta più - Solo il 18% giudica sufficiente il welfare pubblico. Di fronte a questa percezione di inadeguatezza, cresce la corsa al welfare integrativo: il 45% possiede una polizza sanitaria o un fondo pensione e circa il 36% vorrebbe che il contratto collettivo del settore in cui lavora prevedesse la sanità integrativa. Il rischio è una nuova disuguaglianza: tra chi può permettersi una protezione privata e chi resta scoperto.
Infine, il tema cruciale del fisco - Il 70% degli italiani chiede meno tasse sui redditi lordi, e oltre l’80% denuncia un grave squilibrio tra ciò che si versa e ciò che si riceve in termini di servizi pubblici. È un grido di allarme trasversale, che attraversa generazioni, territori e professioni. La pressione fiscale viene percepita come eccessiva e iniqua, soprattutto per chi lavora, produce, risparmia, investe. Lavorare di più non conviene, salire di reddito significa perdere benefici.
"È qui che si gioca la vera partita politica". – ha affermato Cuzzilla davanti ai parlamentari presenti -Il tempo delle analisi è finito: servono scelte nette. Una riforma fiscale che alleggerisca il lavoro dipendente, che premi chi produce valore e non chi lo elude. E basta considerare i pensionati un capitolo di spesa: sono una risorsa strategica, il primo ammortizzatore sociale del Paese. Serve una rivalutazione delle pensioni, un rafforzamento della previdenza integrativa, una più convinta lotta all’evasione, una valorizzazione della managerialità che tiene insieme istituzioni, imprese e cittadini. È il 70% degli italiani a chiedere meno tasse sui redditi lordi, non possiamo ignorarlo. Difendere il ceto medio – e chi lo guida ogni giorno – non è difendere una categoria, ma garantire stabilità, coesione e crescita per l’intero Paese."
Il Segretario Generale Censis, Giorgio De Rita, nel commentare i dati emersi dal rapporto ha affermato: “La ricerca dimostra che oltre due terzi di italiani sente di appartenere al ceto medio. Ceto medio che è protagonista vitale della società italiana, ma da troppo tempo costretto a non facili adattamenti di fronte alla persistenza di un fisco penalizzante, di un senso di sicurezza in erosione e di un'attenzione ridotta al valore delle competenze e delle funzioni avanzate in una società ad alta complessità. Tutelare e rilanciare il ceto medio è oggi una scelta essenziale per la crescita del Paese”.
CIDA è la Confederazione sindacale che rappresenta unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato. Le Federazioni aderenti a CIDA sono: Federmanager (industria), Manageritalia (commercio e terziario), FP-CIDA (funzione pubblica), CIMO-FESMED (medici del SSN), Sindirettivo (dirigenza Banca d’Italia e Ivass), FENDA (agricoltura e ambiente), Federazione 3° Settore CIDA (sanità religiosa), FIDIA (assicurazioni), SAUR (Università e ricerca), Sindirettivo Consob CIDA (dirigenza Consob)
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