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IN EVIDENZA
Quici (CIMO-FESMED): «Ospedali si preparino ora a stagione impegnativa»
«Occorre organizzare una seria campagna vaccinale che protegga il personale sanitario, gli anziani e i pazienti fragili, prevedere presidi territoriali che prendano in carico i casi meno gravi e organizzare in modo adeguato gli ospedali»
Roma, 28 agosto 2025 - Prepariamoci ad un autunno complicato: la prossima stagione influenzale, secondo quanto osservato in Australia, sarà una delle peggiori degli ultimi anni. A luglio infatti nell’Australia meridionale è stato raggiunto il maggior numero di casi settimanali di influenza da 6 anni a questa parte, le infezioni sono aumentate del 70% rispetto allo scorso anno, i ricoveri cresciuti del 50% in due settimane e si è registrato il peggior aumento di ore di servizio delle ambulanze (5.866) mai registrato.
«Lo diciamo con ampio anticipo: è questo il momento giusto per prepararsi all’ondata influenzale ed evitare che il Servizio sanitario nazionale si paralizzi – dichiara Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED -. Dobbiamo evitare l’affollamento dei Pronto soccorso, il blocco delle ambulanze in attesa che le barelle si liberino, il peggioramento della carenza di personale sanitario a causa delle assenze per malattia di medici e professionisti sanitari colpiti dal virus, e il solito scetticismo vaccinale che spinge i più fragili a non proteggersi per tempo».
«Occorre dunque organizzare una seria e convincente campagna vaccinale che protegga il personale sanitario e chi è esposto alle conseguenze gravi dell’influenza, come i pazienti anziani e fragili; prevedere presidi territoriali che prendano in carico i casi meno gravi, che non necessitano del ricovero ospedaliero; intervenire sugli ospedali colmando le carenze di personale, prevedendo percorsi dedicati durante la fase del picco stagionale e organizzando i reparti in modo da impedire la circolazione del virus. Intervenire quando il caos è già scoppiato è inutile. Bisogna agire ora».
«Per i medici non vale il motto, prima gli italiani?»
I sindacati dei medici e dei dirigenti sanitari ANAAO ASSOMED, CIMO-FESMED e AAROI-EMAC contestano i recenti provvedimenti presi in Veneto per reclutare personale dall’estero a copertura delle carenze»
Roma, 1 agosto 2025 – «Per risolvere le croniche carenze di personale del SSN che denunciamo da anni, - dichiarano Pierino Di Silverio Segretario Nazionale Anaao Assomed, Guido Quici, Presidente Federazione Cimo-Fesmed e Alessandro Vergallo Presidente Nazionale Aaroi-Emac - invece di eliminare l'odioso tetto di spesa al personale che impedisce di fatto un corretto turn over, invece di procedere all’adozione di provvedimenti strutturali per il reclutamento di professionisti in possesso di tutti i requisiti di legge che garantiscano la sicurezza dei cittadini, si continua a inventare soluzioni sempre più fantasiose per rispondere alle criticità che affliggono i servizi di emergenza-urgenza, i pronto soccorso e gli ospedali italiani».
«L’ultima pensata, pur di dare alla popolazione del nostro Paese la percezione che la loro salute non sia messa a rischio dalla mancanza di medici, è quella di cercarli all'estero come nel caos del Veneto, oltretutto privi dell’indispensabile riconoscimento europeo della qualifica professionale ottenuta nel loro Paese d’origine, che per la normativa italiana, non è un titolo valido per poter mettere le mani sui pazienti».
«Siamo allo sbando, e il folle progetto di autonomia differenziata peggiorerà la situazione, dato che tutte le Regioni d’Italia, avendo il medesimo problema, potranno imitare il Veneto facendo quel che vogliono, lasciando i cittadini in balìa di un SSN sempre più ‘creativo’, a crescente discapito della qualità delle prestazioni necessarie alla loro salute».
«Evidentemente – concludono i leader sindacali - il motto “prima gli italiani” vale solo per alcuni campi e di certo non per la sanità e la salute pubblica».
«Inaccettabili gli emendamenti al ddl Prestazioni sanitarie: se approvati, pronti alla mobilitazione»
I sindacati dei medici e dei dirigenti sanitari ANAAO ASSOMED e CIMO-FESMED sul piede di guerra: «Si appalta a terzi la gestione degli ospedali e si tenta di creare divisioni tra i medici ospedalieri»
Roma, 16 luglio 2025 - È impietosa, secondo i sindacati ANAAO ASSOMED e CIMO-FESMED, l’analisi degli emendamenti presentati dalla maggioranza al Ddl Prestazioni sanitarie: per un’evidente incapacità di gestire il Servizio sanitario nazionale e di adottare le riforme necessarie al suo rilancio, il Governo sta vergognosamente appaltando la gestione degli ospedali a terzi.
- Si appaltano le prestazioni di Pronto soccorso ai gettonisti e alle cooperative, usciti dalla porta e rientrati dalla finestra, con tutte le criticità in termini di formazione, esperienza, compensi e rispetto della normativa sull’orario di lavoro già ampiamente denunciate e certificate dallo stesso Ministero della Salute.
- Si appaltano le prestazioni di specialistica ambulatoriale alle farmacie, snaturando il loro ruolo di presidi fondamentali per il territorio ma che non possono ambire a diventare dei piccoli ospedali.
- Si prevede l’introduzione dell’obbligo, per tutti gli specializzandi, di lavorare per un anno in Pronto soccorso durante il corso di formazione, esclusivamente per colmare i buchi di organico e senza tenere in alcun modo in considerazione le legittime aspirazioni dei medici. E in caso di straordinari degli specializzandi, ovviamente non viene stanziato nemmeno un euro per retribuirli, ma verrebbero pagati con i fondi già previsti, togliendo quindi risorse al personale strutturato.
E proprio sul tema delle risorse risicate viene proposto un emendamento - ritenuto inaccettabile dai due sindacati - che, come un moderno Robin Hood, toglie a tutti i medici i fondi contrattuali per il trattamento accessorio destinato alla valorizzazione della carriera dei professionisti per gli anni 2025 e 2026, pari a circa 200 milioni di euro, per darli esclusivamente al personale dell’emergenza-urgenza e delle reti tempo dipendenti. Occorre giustamente valorizzare il lavoro nell’emergenza-urgenza, ma lo si faccia stanziando fondi ad hoc, non togliendoli agli altri, con il rischio peraltro di innescare una guerra tra poveri.
Per non parlare dell’ennesimo tentativo di dipingere l’intramoenia come la causa delle liste d’attesa, prevedendone l’attivazione solo nel caso in cui le agende istituzionali siano piene, con l’unica conseguenza di ridurre ulteriormente l’offerta sanitaria e dunque di allungare i tempi di attesa.
«Ci troviamo dinanzi a un deplorevole tentativo non solo di smantellare il nostro Servizio sanitario nazionale, ma anche di creare profonde divisioni tra il personale – dichiarano Pierino Di Silverio, Segretario nazionale ANAAO ASSOMED, e Guido Quici, Presidente Federazione CIMO-FESMED – dinanzi al quale non possiamo tacere e non possiamo restare fermi. Abbiamo già attivato ogni possibile strumento a nostra disposizione per evitare che tali emendamenti siano approvati, e confidiamo nell’attenzione e nelle competenze di alcuni parlamentari e forze politiche, ma nel caso in cui dovessero passare non escludiamo la possibilità di proclamare lo stato di agitazione e mobilitare i nostri iscritti, fino a promuovere il rifiuto di proseguire un minuto oltre il nostro orario di lavoro».
Quici (CIMO-FESMED): «No alla stretta, così si allungano ulteriormente i tempi di attesa»
Il sindacato dei medici boccia gli emendamenti presentati da FdI al Ddl Prestazioni sanitarie, che prevedono l’attivazione dell’intramoenia solo nel caso di saturazione delle agende: «Senza interventi strutturali impossibile ridurre le liste d’attesa»
Roma, 15 luglio 2025 - Ancora un attacco all’intramoenia che, lo ripetiamo come un mantra, non è la causa delle liste d’attesa. Il riferimento è agli emendamenti presentati al Ddl Prestazioni sanitarie dalla deputata di Fratelli d’Italia Ylenja Lucaselli, che prevedono una stretta alla libera professione intramuraria: l’intramoenia sarebbe attivabile solo nel caso di completa saturazione delle agende per le prestazioni istituzionali.
«Se l’emendamento passasse, avrebbe come unico effetto un ulteriore allungamento dei tempi di attesa – dichiara Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED -. Ricordiamo ai più distratti, infatti, che i medici lavorano in intramoenia esclusivamente al di fuori del proprio orario di lavoro, quindi aggiungono, e non tolgono, tempo da dedicare ai pazienti. Con l’intramoenia le prestazioni sanitarie offerte aumentano, e non diminuiscono. Bloccare l’intramoenia vuol dire quindi far rientrare nelle liste d’attesa anche quei pazienti che preferirebbero ottenere le prestazioni in libera professione, magari perché coperti da un’assicurazione o perché desiderano essere seguiti da un determinato specialista. Con il risultato di allungare i tempi di attesa per tutti, o di incentivare ulteriormente il ricorso alla sanità privata. A meno che, viene da chiedersi, non sia proprio questo l’obiettivo ultimo per qualcuno».
«Ricordiamo inoltre che il costo della prestazione sostenuto dal paziente non finisce interamente nelle tasche del professionista, ma serve anche a finanziare il funzionamento dell’ospedale. Quindi il blocco dell’intramoenia comporterebbe altresì una riduzione delle entrate per le aziende sanitarie. Al medico, infatti, arriva il 30% del totale pagato dal paziente. Anche per questo, come certificato dall’ultima relazione annuale presentata qualche giorno fa al Parlamento dal Ministero della Salute, sono sempre meno i camici bianchi che decidono di optare per la libera professione intramuraria: in dieci anni il numero di medici che la esercitano è diminuito del 15%».
«Sono sicuramente necessari controlli e monitoraggi costanti dell’attività libero professionale intramuraria per evitare distorsioni del sistema a danno dei pazienti e del SSN, prevedendo anche pene severe per chi non rispetta le regole – specifica Quici -, ma non è accettabile ipotizzare una sospensione indiscriminata di un sistema che offre opportunità importanti sia ai pazienti che ai medici: qualora l’intramoenia venisse ulteriormente ostacolata, ancora più medici sarebbero pronti a fuggire dalla sanità pubblica, con il risultato di desertificare ulteriormente gli ospedali e quindi, paradossalmente, di allungare ancora di più i tempi di attesa».
«Se non si riaprono gli ambulatori, se non aumentano i posti letto e non si assume personale, l’offerta sanitaria sarà necessariamente ridotta e dunque le liste d’attesa saranno interminabili. E a nulla serviranno provvedimenti palliativi come quelli adottati ultimamente, in assenza di interventi strutturali. Non basta intraprendere la via più populistica e demagogica per risolvere il problema delle liste d’attesa – conclude Quici -. Servono visione, coraggio e risorse. E non sembra che l’attuale Governo ne abbia, proprio come tutti quelli che lo hanno preceduto».
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