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Autonomia differenziata, CIMO: “Mina Costituzione e unità del Paese”
L’appello dei segretari regionali del sindacato medico riuniti a Bologna: “Decreto liste d’attesa sposta l’attenzione su tematiche poco inerenti per la riduzione dei tempi”
Roma, 9 luglio 2024 - I Segretari regionali CIMO, riuniti a Bologna, dopo ampio e approfondito confronto, hanno espresso una posizione unanime e incondizionata sul decreto liste di attesa e sulla Legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata.
Come CIMO prendiamo atto della mancata volontà di voler adottare interventi strutturali seri e fuori tesi a ridurre i tempi di attesa in sanità; un provvedimento legislativo che premia il settore privato senza chiare né il controllo sull’appropriatezza delle prestazioni erogate, né dell’impegno datoriale sui rinnovi dei contratti dei medici
Il maggior carico di lavoro per noi medici dipendenti, rispetto ad una “mancia” economica oraria, vanifica la nostra richiesta di valorizzare l’indennità di specificità; soprattutto ci offende essere individuati come possibili responsabili di un sistema marcio alla fonte che, tra l’altro prevede ulteriori azioni vessatorie e punitive.
Di contro stigmatizziamo la cattiva abitudine di presentare innumerevoli emendamenti, un vero e proprio “assalto alla diligenza”, che nulla hanno a che vedere con la finalità del decreto.
Conosciamo tutti le vere cause che determinano i lungi tempi di attesa; dalla mancata riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale, alla lunga stagione dei tagli in sanità, alla grave carenza di personale ancorata al blocco ventennale del tetto di spesa, alla evidente inappropriatezza delle prestazioni legata alla “medicina difensiva”.
Di certo manca l’offerta sanitaria perché non si fa prevenzione secondaria e terziaria; il fabbisogno di personale è oggi messo in grave pericolo dall’algoritmo di AGENAS; manca una seria riforma sulla responsabilità professionale; non si valorizza il ruolo del personale sanitario che necessita di una radicale riforma dello stato giuridico, normativo ed economico.
In modo convinto, unanime e incondizionato esprimiamo il nostro parere sull’autonomia differenziata.
Riteniamo che la negativa esperienza in sanità, fonte di grandi sprechi e disequità a danno dei cittadini, rappresenti il vero monito per il futuro del nostro Paese perché analoghi percorsi saranno avviati su altri ambiti dei servizi essenziali portando ad una vera e propria disintegrazione dello stato sociale del Paese. In aggiunta i futuri LEP richiederanno importanti risorse aggiuntive che costringeranno molte regioni ad aumentare il prelievo fiscale riducendo, ulteriormente, il potere di acquisto dei cittadini.
Attesa, pertanto, l’assoluta inutilità di una Legge fortemente voluta da chi intende trasformare il nostro Paese in tanti piccoli “feudi”, CIMO ritiene che i diritti dei cittadini saranno fortemente compromessi da dinamiche che minano i principi fondamentali della Costituzione Italiana ed è per tale motivo che il Sindacato dei medici intende essere parte attiva di ogni azione utile a scongiurare gli effetti devastanti di una Legge che mina seriamente l’unità del nostro Paese.
CIDA: USARE LA LEVA FISCALE PER SOSTENERE CETO MEDIO E TALENTI
Roma, 8 luglio 2024 – CIDA accoglie con favore le recenti dichiarazioni del Viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo, riguardo alla riforma fiscale mirata alla riduzione delle tasse sul ceto medio.
"È incoraggiante vedere che il Governo riconosce l'importanza del ceto medio e si impegna a ridurre la pressione fiscale anche per i redditi superiori a 35mila euro, che finora era sembrata una soglia invalicabile. Tuttavia, è fondamentale che queste promesse si traducano in azioni tangibili", ha dichiarato Stefano Cuzzilla, Presidente di CIDA.
CIDA è pronta a collaborare con il Governo per assicurarsi che le misure adottate siano efficaci e non vadano a gravare sempre sugli stessi contribuenti (da lavoro e pensione), motore dell'economia e reale fascia produttiva del Paese.
“È essenziale che le politiche fiscali siano strutturate in modo tale da non penalizzare né i pensionati né i giovani. I primi rappresentano una risorsa fondamentale per la nostra società e la nostra economia - ha aggiunto Cuzzilla - e negli ultimi anni hanno visto abbattere notevolmente il loro potere d’acquisto e minare un progetto di vita costruito con anni di lavoro e responsabilità. Allo stesso modo, è necessario un netto cambio di mentalità e un approccio sistematico per valorizzare i nostri giovani talenti".
I recenti dati emersi dall'indagine Ipsos e da altre ricerche evidenziano un problema critico: il 35% dei giovani under 30 è pronto a lasciare l'Italia in cerca di migliori opportunità lavorative e salariali. “Questo – prosegue Cuzzilla - è un segnale preoccupante che non possiamo ignorare. La generazione Z, che dovrebbe rappresentare il futuro del nostro Paese e della nostra economia, rischia di essere persa a favore dei nostri competitor internazionali. È imperativo che il governo prenda misure concrete per trattenere questi talenti, creare un ambiente favorevole alla loro crescita professionale e offrire compensi adeguati. Le retribuzioni troppo basse e un sistema di welfare sempre più rosicchiato e inadeguato non incentivano i giovani a investire nel Paese."
In un momento in cui la denatalità e l'emigrazione dei giovani rappresentano sfide significative, CIDA ribadisce il suo impegno a lavorare a fianco delle istituzioni per implementare politiche che incoraggino l'occupazione giovanile e l'aggiornamento delle competenze, per costruire un futuro prospero e competitivo per l'Italia.
CIDA è la Confederazione sindacale che rappresenta unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato. Le Federazioni aderenti a CIDA sono: Federmanager (industria), Manageritalia (commercio e terziario), FP-CIDA (funzione pubblica), CIMO-FESMED (medici SSN), Sindirettivo Banca Centrale (dirigenza Banca d’Italia e Ivass), FIDIA (assicurazioni), FENDA (agricoltura e ambiente), Federazione 3° Settore (Sanità religiosa), SAUR (Università e ricerca), Sindirettivo Consob (dirigenza Consob).
Quici (CIMO-FESMED): L’esperienza sulla sanità è monito per il futuro
Roma, 21 giugno 2024 - “La Legge sull’autonomia differenziata, approvata dalla Camera il 19 giugno, viene spesso analizzata sul versante sanitario per la concreta esperienza maturata di questi anni con la modifica del Titolo V della Costituzione che ha visto il nostro SSN non più garante della universalità, equità e accesso alle cure per tutti i cittadini italiani. Quindi si parte da una esperienza concreta sul campo che è molto significativa per gli esiti che ha determinato nonostante gli attuali Livelli Essenziali di Assistenza. Si parte da una disomogeneità nel numero di ambulatori e posti letto ospedalieri per abitante, ad una evidente disparità nell’offerta sanitaria, fino ad un inarrestabile aumento della mobilità passiva. Il tutto in attesa dei futuri LEP il cui concreto rischio è quello di creare ulteriori disparità nel mondo professionale a partire dai contratti di lavoro, alla remunerazione dei professionisti, all’accesso alla formazione, ed altro. Alcuni dati, desunti dai rapporti ISTAT lo testimoniano chiaramente”. Ha osservato Guido Quici, presidente del sindacato medico CIMO-FESMED.
Sul tema dell’assistenza sanitaria ad esempio, riguardo ai posti letto nelle Rsa per ogni 10mila abitanti ce ne sono 98,5 al Nord, 56,5 al Centro e 33,4 al Sud. L’emigrazione ospedaliera per 100 dimissioni è di 6,5 al Nord, 8,3 al Centro e 13 al Sud.
Mutuando, dal mondo sanitario, consolidate esperienze sul tema diseguaglianze è sufficiente analizzare qualche indicatore di qualità di alcuni servizi ricompresi tra le 23 materie delegabili che, certamente, rientreranno nei futuri LEP.
Su 100 famiglie, quelle che hanno difficoltà ad accedere ad almeno 3 servizi essenziali sono 3,5 al Nord, 5,2 al Centro e 7,6 al Sud. Sullo stesso campione, subiscono irregolarità nella distribuzione dell’acqua 2,9 famiglie al Nord, 7,6 al Centro e ben 15,8 al Sud. Il numero medio di interruzioni per utente sul servizio elettrico sono 1,4 al Nord, 1,9 al Centro e 3,6 al Sud.
Emergere, chiaramente, l’assoluta mancanza di garanzie sociali e accesso ai servizi essenziali perché le attuali difficoltà economiche del Paese e delle singole regioni costringerà queste ultime a sostenere costi aggiuntivi per assicurare standard minimi atti a garantire i nuovi LEP.
In primo luogo, l’elevato debito pubblico nazionale dovrà fare i conti con le procedure europee e con il patto di stabilità. Non prevedere nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica porterà, ai nastri dipartenza, regioni non allineate. Meno del 20% delle regioni possono fornire ai propri cittadini, oggi, i futuri LEP ricorrendo alla sola spesa storica. Le restanti regioni non sono in grado di fornire le prestazioni essenziali ricomprese nelle 23 materie delegabili ma dovranno ricorrere a risorse economiche aggiuntive e tutto questo porterà ad un potenziamento del sistema di tassazione locale che, a sua volta, impoverirà ulteriormente i cittadini.
In secondo luogo, la diversissima capacità fiscale tra le Regioni, il cui gettito deriva dalla fiscalità regionale legato al sistema produttivo e all’occupazione, produrrà effetti negativi sulle famiglie italiane che non avranno accesso ai servizi essenziali per un effetto combinato tra maggiori tassazioni locali e minore gettito fiscale. Nel caso della sanità, si prevede un aumento della mobilità passiva che, ogni anno, sottrae risorse alle regioni più svantaggiate arricchendone altre. Quindi meno gettito fiscale, meno prestazioni e più tasse locali per servizi non competitivi.
Infine, i tempi brevi di attuazione. Appare utopistico definire e quantificare le “prestazioni sociali di natura fondamentale”, i LEP, con i relativi costi standard, in un arco temporale piuttosto breve soprattutto se si considera, ad esempio, che l’elaborazione dei costi standard degli asili nido ha richiesto dieci anni.
In questo contesto appare superfluo sottolineare il parere della Corte Costituzionale in merito alla garanzia di diritti incomprimibili. A nostro avviso occorre mantenere una dimensione nazionale, evitando di creare uno “spessore” locale che diventi “fonte primaria” con forti rischi per l’integrazione sociale e l’unità del Paese.
Dl contro liste d’attesa: troppa incertezza sui finanziamenti
Roma, 4 giugno 2024 - “Volere abbattere le liste d'attesa partendo dal presupposto che i responsabili vadano individuati nei medici e dirigente sanitari è inaccettabile oltre che falso. E rispediamo al mittente metodi d’altri tempi, e di altri Paesi, con i quali realizzare addirittura la 'stretta’ sui volumi di attività, come se già non fossero previsti, e attuati, controlli in merito. È un’offesa alla nostra professionalità che rigettiamo”.
Questo il primo commento del Segretario Nazionale Anaao Assomed Pierino Di Silverio e del Presidente Nazionale Cimo-Fesmed Guido Quici ai provvedimenti sulle liste d’attesa varati oggi dal Governo.
“Ridurre i sempre più lunghi tempi di attesa è un diritto del cittadino e un dovere del Governo, ma occorrono misure strutturali con risorse adeguate e durature nel tempo. È, quindi, inimmaginabile separare gli interventi organizzativi dai finanziamenti, rinviando quest’ultimi ad altri tempi”.
“Non è inoltre accettabile chiedere a medici e infermieri di ridurre le liste di attese lavorando anche il sabato e la domenica quando per assicurare, in quei giorni, un minimo turno di servizio, si è già costretti a ricorrere alle prestazioni aggiuntive o a medici a gettone. Di certo l’incremento del 15% della spesa per il personale potrebbe aiutare, ma a condizione che le regioni utilizzino davvero queste risorse, quando arriveranno.
Una sola certezza: l’incertezza dei finanziamenti.
E, allora, ancora una volta i tecnici del MEF assumono un ruolo determinante. Rigorosi quando si tratta di sanità, forse meno attenti quando di parla di finanziare il calcio, o ripianare i debiti Telecom, o per il passato, di finanziare superbonus da oltre 100 miliardi”.
“Inoltre ricordiamo al Ministro della salute, e al Governo, - ribadiscono Di Silverio e Quici - che è ancora in vigore la legge (n. 124/1998), che il Parlamento approvò per riconoscere ai cittadini il diritto di usufruire della prestazione in intramoenia con il pagamento del solo ticket, se dovuto, qualora le attese nel pubblico superassero i tempi previsti dalla normativa. Sarebbe ora che si intervenisse per garantirne l’esigibilità su scala nazionale”.
“La nostra risposta a provvedimenti punitivi o puramente cosmetici sarà dura, a partire dal rifiuto di svolgere prestazioni aggiuntive, che ricordiamo essere su base volontaria. Vorrà dire che ci limiteremo a svolgere il lavoro ordinario come definito dal CCNL.
Il professionista che opera nella sanità pubblica - concludono Di Silverio e Quici - va gratificato, non aggredito o utilizzato come capro espiatorio. Anche per il bene dello stesso Servizio sanitario nazionale e dei cittadini che vi si rivolgono”.
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