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Cinque anni dal Covid-19, medici da eroi a dimenticati: per il 58% dei camici bianchi il proprio lavoro è peggiorato
La Federazione CIMO-FESMED pubblica il dossier “Dimenticati - Ritratto dei medici ospedalieri a cinque anni dall’inizio dell’emergenza Covid-19” con i risultati di un sondaggio a cui hanno aderito 2.168 camici bianchi: il 72% lavora più di 38 ore a settimana, il 38% ha più di 50 giorni di ferie accumulati. Crollate le aspettative di crescita professionale, di carriera e retributive nutrite durante la pandemia
Roma, 17 febbraio 2025 - A cinque anni dall’inizio dell’emergenza Covid-19 in Italia, il 76% dei medici ospedalieri ritiene che il Servizio sanitario nazionale sia peggiorato ed il 58% pensa che il proprio lavoro abbia subito dei cambiamenti negativi. Sono i due dati più significativi che emergono da un sondaggio promosso dal sindacato Federazione CIMO-FESMED (a cui aderiscono le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) a cui hanno risposto 2.168 medici dipendenti del SSN e che consente di dipingere il ritratto dei medici ospedalieri, rappresentato nel dossier “Dimenticati”.
Un ritratto a tinte fosche, che lascia intravedere medici sempre più stanchi e disillusi: se infatti durante la pandemia il 77% dei medici riteneva che al termine dell’emergenza la professione sarebbe migliorata, il 74% pensava che avrebbe avuto maggiori opportunità di carriera e addirittura l’83% immaginava che avrebbe guadagnato di più, oggi solo il 15% dei medici giudica molto positivamente la propria professione, l’8% la propria carriera e il 2% il proprio stipendio.
Tra le cause principali di tale insoddisfazione rientrano le condizioni in cui i medici sono costretti a lavorare, spesso a causa della carenza di personale: il 76% degli intervistati ha infatti dichiarato di lavorare in un reparto con l’organico incompleto. E allora, per coprire i turni, devono lavorare oltre il dovuto e rinunciare a ferie e permessi: solo il 28% dei medici che hanno risposto al sondaggio lavora 38 ore a settimana come previsto dal contratto; il 52% lavora spesso 48 ore a settimana ed il 20% supera le 48 ore di lavoro settimanali. Il quadro non migliora in tema di giorni di ferie: il 45% ha tra gli 11 e i 50 giorni di ferie residui, il 23% tra i 51 e i 100 giorni, mentre il 15% ha addirittura più di 100 giorni di ferie accumulati.
Non stupisce, allora, che il 57% dei medici ritenga di essere molto stressato né che solo il 2% dei camici bianchi riesca a conciliare adeguatamente il lavoro con la vita privata. Il 38% ritiene pessima la qualità della propria vita e il 57% considera alto il rapporto tra il proprio carico di lavoro ed il rischio di commettere errori.
Eppure, il 94% degli intervistati pensa che il proprio lavoro non sia sufficientemente valorizzato dalla propria azienda. Per questo molti medici iniziano a volgere lo sguardo verso opportunità lavorative lontane dall’ospedale pubblico: il 33% ritiene che all’estero il lavoro del medico sia valorizzato molto di più che in Italia, il 18% crede che il modo migliore per svolgere il proprio lavoro sia la libera professione, il 10% pensa che sarebbe più gratificante lavorare in una struttura privata e, infine, il 7% come medico a gettone. Dunque, solo il 32% dei camici bianchi ritiene l’ospedale pubblico il luogo in cui è più gratificante lavorare.
«Quel che emerge dall’indagine è disarmante – commenta Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED -. Speravamo che con la pandemia si fosse capita l’importanza del ruolo del medico e del SSN, e invece, a soli cinque anni di distanza, ci sentiamo dimenticati. I medici sono sempre più stremati e delusi, e ritengono eccessivi i compromessi da accettare per svolgere il proprio lavoro, che comunque risceglierebbe il 69% dei colleghi. Il nostro timore, allora, è che sempre più giovani medici decidano di indirizzare la propria carriera lontano dal SSN. Per invertire questo trend occorre rendere nuovamente attrattivo il lavoro negli ospedali pubblici. In caso contrario, ben presto non ci saranno più medici, e senza medici non c’è salute».
il sostegno di CIMO-FESMED: «Assurdo rifiuto AIOP e ARIS di firmare contratto»
Quici: «Legare l’accreditamento delle strutture private al rispetto dei diritti dei lavoratori»
Roma, 12 febbraio 2025 – La Federazione CIMO-FESMED sostiene lo sciopero dei medici dipendenti della sanità privata indetto dalla CIMOP per il 13 febbraio e reputa assurdo il rifiuto delle associazioni datoriali AIOP e ARIS di rinnovare il contratto collettivo di lavoro, fermo in alcuni casi da 20 anni.
«Quello che AIOP e ARIS propongono al Ministero della Salute è un vero e proprio ricatto – commenta Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED, cui aderisce anche la CIMOP -. È inaccettabile pensare di sedersi al tavolo delle trattative solo e unicamente se lo Stato garantisce la copertura economica totale del costo del rinnovo del contratto dei medici, quando in questi ultimi anni il contributo statale alla sanità privata accreditata è cresciuto in maniera esponenziale. Non si può pensare di guadagnare in questo modo sulle spalle del personale».
«Per questo proponiamo ancora una volta di legare l’accreditamento delle strutture sanitarie private al rispetto dei diritti dei lavoratori: chi non rinnova il contratto di lavoro dovrebbe perdere l’accreditamento, altrimenti lo Stato diventa complice di questa situazione vergognosa».
«Il 13 febbraio quindi saremo di fronte al Ministero della Salute per manifestare insieme ai colleghi contro questa situazione vergognosa, che negli anni si è impantanata a causa di responsabilità che vedono coinvolti le associazioni datoriali e il Ministero stesso, poiché ha accettato di farsi carico di una parte del costo del rinnovo del contratto del comparto ma si è sempre rifiutato di garantire lo stesso trattamento ai medici, creando di fatto una discriminazione inaccettabile», conclude.
CIMO-FESMED: «Riforma pericolosa anche per gli ospedalieri»
«Gli oltre 40mila MMG che entrerebbero nella dipendenza potrebbero diventare competitor dei dipendenti nella gestione dei fondi contrattuali e nei percorsi di carriera. Prevedere due contratti paralleli per i medici convenzionati e per i dipendenti»
Roma, 6 febbraio 2025 – L’eventuale passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia preoccupa, e non poco, anche la Federazione CIMO-FESMED, che rappresenta i medici già dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Il cambiamento di status giuridico dei medici di base infatti potrebbe avere conseguenze importanti anche sulle prospettive retributive e di carriera della dirigenza: in assenza di appositi interventi, gli oltre 40mila MMG diventerebbero competitor dei dipendenti nella gestione dei fondi contrattuali e nei percorsi di carriera. Considerato che sia i fondi che i posti da responsabile di struttura sono oggi limitati e ridotti all’osso, non è pensabile che gli stessi debbano essere condivisi con una platea di professionisti più ampia.
«Riteniamo assurdo che una riforma così epocale, che potrebbe avere importanti ripercussioni anche sul mondo degli ospedalieri, non sia oggetto di confronto con i medici – dichiara Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED -. Sono infatti numerose le domande che ci poniamo e che ad oggi non trovano risposta. Qualora i medici di famiglia diventassero dipendenti, con quali finanziamenti si intende adeguare i fondi contrattuali? Come si intende rivedere l’attuale limitazione del numero di responsabili di struttura, oggi calcolato sulla base del numero di abitanti? Con quale metodologia verrà definito il fabbisogno di personale, atteso che lo stesso deve rientrare nel tetto di spesa risalente al 2004?».
«Ci auguriamo che la riforma della medicina del territorio, qualora prevedesse il passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia, dia risposte e rassicurazioni su tutti questi temi. Non vorremmo infatti che, considerata la fretta di adottare la riforma per riempire le case di comunità e non perdere i finanziamenti del PNRR, questi problemi non fossero stati tenuti in debita considerazione e arginati con i necessari provvedimenti».
«Infine, occorre ricordare che da tempo la Federazione CIMO-FESMED sostiene la necessità di prevedere due contratti paralleli per i medici convenzionati e per i dipendenti, mantenendo dunque l’attuale status giuridico, da non firmare più con la Funzione Pubblica ma con il Ministero della Salute e le Regioni. In questo modo si potrebbero regolare in modo condiviso alcuni aspetti organizzativi e professionali per tutti i medici, pur mantenendo delle doverose peculiarità, aiutando i colleghi a dialogare meglio tra loro e a collaborare in modo più efficiente anche sul territorio» conclude Quici.
l’audizione CIMO: «Bene istituzione figura professionale, ma non sia alibi per demedicalizzare i mezzi di soccorso»
Piccinini (Coordinamento Emergenza-Urgenza 118 CIMO): «Definire ruoli e responsabilità di ciascun professionista, a partire dall’atto medico»
Roma, 4 febbraio 2025 – Il sindacato dei medici CIMO è stato audito dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati sulla proposta di legge che istituisce la figura dell’autista soccorritore. Una figura professionale che si è evoluta nel tempo, passando da semplice conducente di mezzi di soccorso ad operatore che ha acquisito competenze specifiche ed è oggi impegnato in attività di assistenza sul paziente sulla base di protocolli sanitari predefiniti. La proposta di legge intende delineare e rendere omogenei sul territorio nazionale la formazione, i criteri di accesso, le competenze e le attività che può svolgere tale figura.
«Sebbene l’obiettivo della proposta di legge sia condivisibile e la CIMO sia pienamente favorevole all’istituzione della figura professionale dell’autista soccorritore – dichiara Andrea Piccinini, Responsabile del Coordinamento Emergenza-Urgenza 118 e Vicepresidente CIMO – esprimiamo il timore che tale norma possa rappresentare un alibi utilizzato dalle Regioni per procedere verso una ulteriore pericolosa demedicalizzazione dei mezzi di soccorso. Considerato il progressivo incremento delle professioni sanitarie con competenze che spesso si sovrappongono ma con responsabilità finali che ricadono quasi sempre sul medico, occorre dunque definire ruoli e responsabilità di ciascun professionista, a partire dall’atto medico».
A seguire, le indicazioni fornite dal sindacato in merito alla proposta di legge: - Dettagliare in un allegato tecnico le attività che l’autista soccorritore è abilitato a svolgere e le competenze e conoscenze necessarie per il loro svolgimento; - Individuare criteri di certificazione omogenei tra operatori volontari e operatori dipendenti che consentano di non disperdere il prezioso apporto del personale volontario; - Rendere omogeneo su tutto il territorio nazionale il percorso formativo degli autisti soccorritori ed il riconoscimento dei crediti formativi da attribuire a titoli e a servizi pregressi; - Prevedere l’obbligo di un tirocinio pratico; - Prevedere l’obbligo di accreditamento delle strutture deputate alla formazione del personale, che dovrà essere affidata a professionisti sanitari ed operatori tecnici in possesso di specifica qualificazione e di idonee e certificate competenze professionali.
Documento presentato alla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati
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