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CIMO-FESMED: «Rilancio passa da condivisone con professionisti e finanziamenti adeguati»
«Bene riordino professioni sanitarie non mediche senza sovrapporre ruoli e definendo atto medico. Su necessità di personale straniero Regioni troppo arrendevoli, creare condizioni per far rientrare professionisti italiani»
Roma, 7 maggio 2025 – Aumentare gli stipendi, eliminare il tetto alla spesa per il personale sanitario, firmare contratti di lavoro con Ministero della Salute e Regioni, riformare la responsabilità professionale e riordinare le professioni sanitarie preservando le competenze affidate in maniera esclusiva ai medici. Sono queste le proposte principali che la Federazione CIMO-FESMED ha inviato alla Conferenza delle Regioni, condividendo alcune azioni strategiche previste dal documento per il rilancio del personale del Servizio Sanitario Nazionale, esprimendo seri dubbi su altre e arricchendo l’elenco con ulteriori suggerimenti.
«Il documento conferma il corrente attivismo istituzionale in tema di professioni sanitarie, affiancandosi all’Indagine conoscitiva in tema di riordino delle professioni sanitarie svolta dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, che dimostra la necessità di un intervento urgente che risolva la crisi del personale sanitario – commenta Guido Quici, Presidente della Federazione CIMO-FESMED -. Ma oltre a ribadire la necessità di un coinvolgimento attivo e realmente partecipato dei rappresentanti dei professionisti sanitari per intavolare qualsivoglia piano strategico di rilancio, evidenziamo con rammarico l’assenza lampante del tema del finanziamento per dare corso alle proposte. Il rischio che le azioni strategiche elencate dalla Conferenza rimangano ancora una volta lettera morta è infatti dietro l’angolo».
Scendendo nel dettaglio del documento, la Federazione CIMO-FESMED condivide la proposta di aumentare le retribuzioni del personale sanitario, ma evidenzia come tale decisione oggi spetti ad Istituzioni diverse dalle Regioni, dal Ministero dell’Economia al Ministero della Pubblica Amministrazione. Per questo, il sindacato chiede da tempo di liberare la dirigenza sanitaria dai vincoli della funzione pubblica per poter discutere e firmare i contratti con il Ministero della Salute e le Regioni. Inoltre, si sottolinea la necessità di firmare i contratti di lavoro senza estremi ritardi che assorbono gli incrementi retributivi previsti ancor prima di essere erogati.
In merito al riordino delle professioni sanitarie, si condivide la necessità di ridurre l’attuale frammentazione delle professioni sanitarie non mediche, senza tuttavia arrivare ad una sovrapposizione di ruoli, delineando i confini tra i profili professionali e definendo in modo chiaro l’atto medico al fine di evitare quell’anarchia delle competenze che può mettere a rischio la sicurezza delle cure.
Inoltre, per evitare un ulteriore aumento del carico di lavoro, l’ineludibile processo di digitalizzazione del SSN deve scongiurare un’eccessiva burocratizzazione che toglie tempo di cura: occorre dunque automatizzare i processi amministrativi attraverso tecnologie e strumenti digitali interoperabili e integrati tra loro.
Il paragrafo dedicato al reclutamento di personale sanitario dall’estero, che è accompagnato da problemi intrinsechi legati alla conoscenza della lingua italiana e alla qualità del percorso formativo, appare alla Federazione CIMO-FESMED eccessivamente arrendevole. Prima di pensare al personale straniero, infatti, occorrerebbe creare le condizioni per frenare la fuga di professionisti italiani all’estero e riportare in Italia coloro che hanno deciso di emigrare.
In ogni caso, in assenza di azioni concrete volte ad aumentare l’attrattività del SSN, ogni proposta volta a superare le carenze di organico risulta essere una toppa temporanea, che non risolve il problema: per questo la Federazione CIMO-FESMED esprime forti dubbi sull’impiego strutturale dei medici specializzandi in pronto soccorso o il possibile impiego dei medici dipendenti del SSN per la copertura dei territori carenti di assistenza primaria.
CIDA: “IL LAVORO VA RIPAGATO CON DIGNITA’. I SALARI TROPPO BASSI METTONO A RISCHIO IL FUTURO DELL’ITALIA”
Roma, 30 aprile 2025. “Il lavoro non è un costo da contenere, è il capitale più prezioso su cui costruire il futuro. Le parole del Presidente della Repubblica ci ricordano che senza giusta remunerazione non può esserci né crescita né coesione sociale.” Lo afferma Stefano Cuzzilla, presidente di CIDA, rilanciando l’allarme sul tema dei salari bassi, che sta colpendo in particolare il ceto medio e le nuove generazioni.
“Chi investe in studio, impegno e competenze – prosegue – si trova troppo spesso in un sistema che fatica a valorizzare il merito. È una frattura profonda, che rischia di spezzare il patto tra le generazioni. Se i giovani non credono più che lavorare serva a costruire un futuro, l’Italia perde capitale umano, credibilità e fiducia.”
CIDA richiama anche le cause strutturali che aggravano il problema: tessuto produttivo troppo frammentato, investimenti insufficienti in innovazione e formazione, pressione fiscale elevata, con addizionali regionali e comunali che penalizzano proprio chi lavora regolarmente e contribuisce.
“In questo scenario – aggiunge Cuzzilla – si alimenta un clima di sfiducia generale. Si accetta che chi evade venga premiato, mentre chi rispetta le regole resta schiacciato. Così si genera ingiustizia, e si disincentiva proprio il lavoro qualificato di cui il Paese ha più bisogno.”
Preoccupa anche l’equilibrio del sistema previdenziale: per la prima volta, le pensioni assistenziali hanno superato quelle contributive. “Un segnale da non sottovalutare – avverte – che finisce per colpire chi ha sempre sostenuto il sistema con responsabilità.”
Alla vigilia del 1° maggio per il Presidente CIDA è necessario sottolineare che l’unico lavoro da sostenere è quello di qualità. “Difendere il valore del lavoro, del merito e del rispetto delle regole – conclude – non è una battaglia ideologica: è l’unico modo per tenere in piedi l’Italia che lavora, produce e forma futuro.”
CIDA è la Confederazione sindacale che rappresenta unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato. Le Federazioni aderenti a CIDA sono: Federmanager (industria), Manageritalia (commercio e terziario), FP-CIDA (funzione pubblica), CIMO-FESMED (medici del SSN), Sindirettivo Banca Centrale (dirigenza Banca d’Italia e Ivass), FENDA (agricoltura e ambiente), Federazione 3° Settore (sanità religiosa), FIDIA (assicurazioni), SAUR (Università e ricerca), Sindirettivo Consob (dirigenza Consob)
Anaao Assomed e Cimo-Fesmed: «Avviare subito trattative, non possiamo aspettare la conclusione del CCNL del comparto»
«Accorpamento CCNL 2022-2024 e 2025-2027 sarebbe storico»
Roma, 29 aprile 2025 – L’incontro in Aran di questa mattina per il rinnovo del contratto del comparto sanità conferma lo stallo dei mesi scorsi, lasciando in ostaggio medici e dirigenti sanitari che ancora attendono la pubblicazione dell’atto di indirizzo necessario ad avviare le trattative per il CCNL 2022-2024, dunque già ampiamente scaduto. Intanto, la prossima settimana si inizierà a discutere del contratto dei dirigenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici e la settimana successiva verranno definite le aree e i comparti per il 2025-2027, confronto propedeutico all’avvio delle contrattazioni per il nuovo triennio.
«Vorremmo conoscere le ragioni per le quali si continua a rimandare sine die la pubblicazione dell’atto di indirizzo del contratto dei medici e dei dirigenti sanitari – dichiarano Pierino Di Silverio, Segretario di Anaao Assomed, e Guido Quici, Presidente della Federazione Cimo-Fesmed -. Inoltre, è inaccettabile dover aspettare la conclusione del contratto del comparto per poter iniziare a discutere di quello dei medici: se sindacati del comperato e Aran non trovano un accordo continueremo ad attendere? Chiediamo a 140mila medici e dirigenti sanitari di aspettare pazientemente il loro turno per poter vedere i dovuti aumenti in busta paga? È vero che parte delle risorse economiche attese dal rinnovo contrattuale è stata anticipata, ma l’incremento stipendiale conseguente è stato in gran parte neutralizzato, sia dalla crescita della pressione fiscale che dall'aumento dell'addizionale IRPEF deciso da quasi tutte le Regioni, visto che il finanziamento del sistema sanitario rimane al di sotto delle necessità, per quanto etichettato come “storico”. Il ritardo del rinnovo contrattuale riduce significativamente il potere d'acquisto dei dirigenti medici e sanitari, che già ha registrato un calo del 6,2% nel periodo 2015-2022, consolidandone la collocazione agli ultimi posti in Europa, e peggiora ulteriormente condizioni di lavoro proibitive che ne riducono la attrattività.
E intanto continuiamo ad assistere alla quotidiana emorragia di personale dagli ospedali pubblici, di medici stanchi di essere trattati e considerati in questo modo».
«Non solo non siamo disponibili ad aspettare, ma anzi chiediamo di fare un ulteriore passo avanti accorpando i trienni contrattuali 2022-2024 e 2025-2027, in modo da garantire ai colleghi adeguamenti retributivi accettabili e bloccare questa intollerabile tradizione di firmare solo contratti già scaduti. Una volta definite le aree e i comparti per il triennio 2025-2027, non ci risultano ostacoli all’adozione di una decisione che sarebbe storica, e che darebbe il giusto valore a chi, ogni giorno, tutela la salute del Paese assicurando più di 2 milioni di prestazioni gratuite al giorno», concludono Di Silverio e Quici.
Quici (CIMO-FESMED): «L’atto medico non si tocca»
Sparita, dal testo approvato dal Senato, la competenza esclusiva dei medici su diagnosi, prognosi e terapia
Roma, 16 aprile 2025 – «Dal primo periodo del testo del Ddl Prestazioni sanitarie, approvato ieri dal Senato e in attesa ora dell’esame della Camera, sono magicamente sparite tre parole: se il testo originale infatti parlava di diagnosi, prognosi e terapia che competono “in maniera esclusiva” al medico, tale precisazione è sparita dall’ultima versione, in cui si legge che al medico “competono la diagnosi, la prognosi e la terapia in merito alla specifica situazione clinica”. Come se fosse necessario specificare che il medico si occupa di diagnosi, prognosi e terapia: cos’altro dovrebbe fare?» si chiede Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED, che riunisce le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED.
«L’emendamento che ha modificato il testo, presentato dalla senatrice Elena Murelli, capogruppo della Lega in commissione Affari sociali, è stato anche accompagnato da un roboante comunicato stampa, con il quale si evidenziava la volontà di “estendere l’atto medico a tutti i professionisti sanitari”» aggiunge Quici.
«Lungi da noi non riconoscere le competenze e l’importanza dei professionisti sanitari, che ricoprono un ruolo essenziale per l’assistenza dei pazienti ed il corretto funzionamento del Servizio sanitario nazionale – specifica Quici -; ma se i percorsi formativi di medici e altri professionisti sanitari sono tanto diversi, è perché il ruolo e la responsabilità di ciascuno sono nettamente diversi, e non è possibile uniformarli per legge».
«Uniformare le professioni sanitarie verso la diagnosi e la terapia serve solo ad aumentare quell’anarchia che oggi vige in numerosi settori della sanità: non risolve senz’altro la carenza di personale, non consente di chiarire chi debba fare cosa e, soprattutto, mette a repentaglio la sicurezza delle cure».
«Inoltre, dal Ddl emerge con forza la volontà di non assumere personale: da una parte si sottolinea l’intenzione di “contrastare il fenomeno dei gettonisti”, dall’altra si propongono contratti di collaborazione coordinata e continuativa e si prevede la possibilità di avvalersi degli specialisti ambulatoriali per abbattere le liste d’attesa, pagandoli 100 euro l’ora. Nemmeno una parola relativa a concorsi a tempo indeterminato o assunzioni stabili, ovvero ciò che è realmente e giustamente atteso dai giovani e che consente di abbattere le liste d’attesa. Assunzioni, lo ricordiamo, che continuano ad essere ostacolate da un tetto alla spesa per il personale sanitario ultraventennale, la cui rimozione è stata più volte e da più parti promessa, ma mai effettuata».
«Così facendo si somma esclusivamente precarietà a precarietà, confusione a confusione. È questo il Servizio sanitario nazionale che vogliamo per il futuro?», conclude Quici.
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