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Giornata contro violenza su operatori sanitari, CIMO-FESMED: «71% medici ospedalieri teme aggressioni»
Quici: «Aggressioni in sanità sono emergenza nazionale che non può essere risolta senza intervento strutturale». Il 12 marzo al via la campagna social “La paura non aiuta la cura”
Roma, 10 marzo 2025 – Il 71% dei medici ospedalieri italiani teme di subire un’aggressione sul posto di lavoro. Percentuale che arriva al 76% tra le dottoresse. Secondo l’ultimo sondaggio del sindacato dei medici della Federazione CIMO-FESMED, quindi, quasi tre medici su quattro vanno in ospedale con la paura di essere attaccati fisicamente o verbalmente dai pazienti o dai loro familiari. In occasione della “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari”, il prossimo 12 marzo, CIMO-FESMED lancerà sui suoi canali social la campagna “La paura non aiuta la cura”.
«La violenza contro il personale sanitario mina profondamente la serenità dei professionisti nello svolgimento del loro lavoro - commenta Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED –. Ci troviamo dinanzi ad un’emergenza nazionale che non può essere risolta senza un serio intervento strutturale. Per ridurre i lunghi tempi di attesa nei pronto soccorso, nelle sale operatorie e negli ambulatori, che spesso rappresentano la causa delle aggressioni, occorre ampliare l’offerta sanitaria e consentire ai professionisti della salute di lavorare in condizioni ambientali favorevoli. Bisogna inoltre recuperare quel rapporto fiduciario medico-paziente che oggi è fortemente minato da una medicina amministrata e difensiva figlia di provvedimenti legislativi che non vanno incontro ai reali interessi dei cittadini e dei sanitari».
Riforma accesso Medicina, CIMO-FESMED alla Ministra Bernini: «Non illuda gli studenti, il numero chiuso non viene superato»
Quici: «La selezione degli ammessi a Medicina viene solo spostata di un semestre. L’ampliamento dei posti aggraverebbe la pletora medica già prevista»
Roma, 10 marzo 2025 – Questa mattina, su Il Messaggero, è stata pubblicata una lettera della Ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini sulla riforma dell’accesso alla Facoltà a Medicina, che sarà approvata in via definitiva dalla Camera la prossima settimana. Una lettera in cui la Ministra si ostina a parlare di “superamento del numero chiuso”, quando la riforma non fa che spostare la selezione degli studenti alla fine del primo semestre. Quel che viene eliminato è il test d’ingresso, non il numero chiuso, che è essenziale per programmare in modo corretto il numero di medici che serviranno al Servizio sanitario nazionale nel prossimo futuro.
«Le parole della Ministra sono fuorvianti e potrebbero illudere migliaia di aspiranti medici – commenta Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (a cui aderiscono le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) -. E non è condivisibile nemmeno l’opinione che, con la riforma, l’accesso a Medicina sia “più equo, meritocratico e basato sulle vocazioni”. È vero che l’attuale sistema di selezione con il test d’ingresso nazionale va modificato, ma basare l’accesso a Medicina sul superamento degli esami del primo semestre e sulla media dei voti conseguiti risulta troppo discrezionale e non garantisce né l’equità né la meritocrazia. Non è detto, ad esempio, che tutti i professori abbiano lo stesso metro di giudizio nel dare i voti agli studenti e nel far superare o meno gli esami. Senza considerare i tanti problemi che le Università dovranno affrontare per garantire una formazione qualitativamente elevata ai circa 70mila studenti che frequenteranno il primo semestre».
«Occorre inoltre prestare particolare attenzione al numero di studenti che saranno ammessi a proseguire gli studi in Medicina. Pochi giorni fa la Ministra ha evidenziato come i posti a Medicina siano già stati aumentati di 30mila unità, “e continueremo nei prossimi anni”, ha detto. Una dichiarazione d’intenti pericolosissima, poiché si rischia di formare troppi medici che poi non troveranno lavoro, andando ad alimentare quella pletora medica già prevista; al contempo, un ampliamento del numero di studenti in Medicina potrebbe aggravare ulteriormente la carenza di altri professionisti sanitari, a partire dagli infermieri. Non si può giocare in questo modo con la vita e la carriera degli aspiranti medici e la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale», conclude Quici.
CIMO-FESMED: «In Italia non solo stipendi più bassi ma anche pressione fiscale eccessiva»
Pur rappresentando lo 0,2% dei contribuenti italiani, i medici dipendenti del SSN versano il 2% dell’intero ammontare IRPEF. Quici: «Aumentare retribuzioni o prevedere agevolazioni fiscali»
Roma, 5 marzo 2025 - I medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale pagano ogni anno 4 miliardi di euro di IRPEF, tenendo in considerazione esclusivamente i redditi da dipendenti e dalla libera professione intramoenia, ed escludendo quindi eventuali prestazioni eseguite in studi o in cliniche private. La categoria dunque, pur rappresentando lo 0,2% dei contribuenti italiani, versa il 2% dell’intero ammontare IRPEF. Dei 9,2 miliardi che rappresentano il totale delle retribuzioni dei medici, quasi la metà è in qualche modo autofinanziata dai medici stessi tramite le proprie tasse, mentre ciascun cittadino italiano contribuisce con 43 centesimi al giorno al pagamento degli stipendi dei medici.
Se, allora, i medici italiani hanno le retribuzioni lorde tra le più basse d’Europa, sono anche tra quelli che in percentuale pagano più tasse. È l’OCSE che ci fornisce i numeri: in media un medico specialista italiano nel 2021 guadagnava 78mila euro lordi a fronte dei 91mila dei medici francesi, dei 117mila dei belgi, dei 148mila dei tedeschi, dei 163mila degli olandesi fino ai 174mila degli irlandesi. Al contempo, ancora secondo l’OCSE, in Italia la pressione fiscale è pari al 42,6% (anche se per i medici aumenta fino al 46,36%), la terza più alta tra i Paesi OCSE, preceduta solo da Francia (43,8%) e Danimarca (43,4%). Le retribuzioni nette, quindi, sono di gran lunga inferiori rispetto a quanto percepito in altri Paesi europei, che attrarranno sempre di più i nostri medici.
«Se c’è la reale volontà di trattenere in Italia i medici, è necessario aumentarne le retribuzioni – commenta Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED, a cui aderiscono le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED -. E se non è possibile aumentare considerevolmente gli stipendi poiché devono essere allineati a quelli degli altri dirigenti della Pubblica Amministrazione, occorre intervenire prevedendo delle agevolazioni fiscali. Chiediamo quindi ancora una volta un segnale importante per i colleghi che sono già pronti a trasferirsi in Paesi dove il loro ruolo e la loro professionalità sono maggiormente valorizzati».
Quici (CIDA): «Puntare su collaborazione tra pubblico e privato»
Il Presidente CIMO-FESMED e Vicepresidente CIDA alla presentazione del Terzo Rapporto dell’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza della Fondazione per la Ricerca Economica e Sociale ETS: «Preoccupante calo Indice di vicinanza della salute»
Roma, 26 febbraio 2025 – L’accesso alle cure in Italia si fa sempre più difficile. Lo conferma l’Indice di vicinanza della salute, elaborato dalla Fondazione per la Ricerca Economica e Sociale ETS, che evidenzia un progressivo allontanamento dei cittadini dalla sanità: rispetto al valore base di 100 registrato nel 2010, oggi siamo scesi a 84, con un calo di due punti solo nell’ultimo anno.
«Una riforma dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) è indispensabile per garantire tempi certi nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, senza lasciare indietro nessuno – ha commentato Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED e Vicepresidente CIDA, che ha partecipato alla Presentazione del Terzo Rapporto dell’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza della Fondazione, svoltasi nel pomeriggio presso la Sala Zuccari del Senato - Al tempo stesso, è necessario regolamentare meglio la sanità integrativa affinché non si sovrapponga alla sanità pubblica, ma la completi laddove il Servizio sanitario nazionale non riesce ad arrivare. Oggi, infatti, gli italiani spendono 40 miliardi di euro l’anno per cure private: una cifra enorme che potrebbe, almeno in parte, rientrare nel sistema pubblico se si incentivasse una maggiore collaborazione tra i fondi sanitari integrativi e le strutture pubbliche, anche attraverso convenzioni con i professionisti del Servizio sanitario nazionale. Recuperare anche solo una parte di queste risorse significherebbe dare una boccata d’ossigeno al sistema, migliorando l’accesso alle cure per tutti».
«Non possiamo continuare a pensare alla sanità in termini di contrapposizione tra pubblico e privato, tra ospedale e territorio, tra dipendenti e convenzionati – ha aggiunto Quici - Dovrebbero essere adottate, ad esempio, misure che consentano ai medici di dialogare meglio tra loro, uniformandoli da un punto di vista contrattuale pur mantenendo gli attuali stati giuridici della dipendenza e del convenzionamento: per questo da anni sosteniamo la necessità di far uscire i medici dipendenti dalla Funzione Pubblica per poter firmare, insieme ai medici del territorio, un contratto di lavoro con il Ministero della Salute e le Regioni».
«Si tratta di riforme necessarie ma che non possono essere immaginate senza una vera lotta all’evasione fiscale, che consenta di recuperare miliardi di euro da destinare anche alla sanità, e la previsione di maggiori incentivi fiscali per il ceto medio: non è infatti ammissibile che coloro che guadagnano oltre 35mila euro l’anno e rappresentano solo il 15% degli italiani si facciano carico da soli del 63,39 % dell’IRPEF, per poi essere anche penalizzati in tema di detrazioni fiscali», ha concluso Quici.
CIDA è la Confederazione sindacale che rappresenta unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità del pubblico e del privato. Le Federazioni aderenti a CIDA sono: Federmanager (industria), Manageritalia (commercio e terziario), FP-CIDA (funzione pubblica), CIMO-FESMED (medici SSN), Sindirettivo Banca Centrale (dirigenza Banca d’Italia e Ivass), FIDIA (assicurazioni), FENDA (agricoltura e ambiente), Federazione 3° Settore (Sanità religiosa), SAUR (Università e ricerca), Sindirettivo Consob (dirigenza Consob).
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